Il magone di un addio

21.02.2009 09:48 di  Marina Beccuti   vedi letture
Fonte: Sabrina Gonzatto - Vice Presidente del Toro Club Orfeo Pianelli
Il magone di un addio
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Sabrina Gonzatto

 

E’ una storia d’amore. Comune ad altre storie ma non banale. Perché l’amore non lo è mai. Non ha età. E ti colpisce dritto al cuore, annullando qualsiasi altra facoltà che Dio ci ha donato. Ci sono amori infiniti, dolorosi, impossibili che ti arrivano come diceva John Lennon nella canzone dedicata a suo figlio Sean: Life is what happens to you while you’re busy making other plans. Perché amore è vita. Che ti arriva all’improvviso mentre sei impegnata a fare altre cose. Altri progetti. A vivere. A sopravvivere. Mentre riempio scatole con le mani nere di polvere e vedo passare nei fogli, negli oggetti e nelle foto pezzi di vita, della mia vita, cerco di trattenere quelle lacrime che invece vorrebbero uscire dai miei occhi e scorrere sulle guance. Senza pudore, senza vergogna. Sono ormai alcuni mesi che cerco di prepararmi a questo momento. A lasciare un luogo sacro. Un luogo nel quale hanno respirato, vissuto e giocato tanti ragazzi che hanno fatto grande il Toro. I muri parlano. Mi parlano e mi raccontano delle loro gesta. Dodici anni ho vissuto qui. In questa Palazzina da me chiamata così in onore della Palazzina del Toro. In corso Vittorio Emanuele. Al numero 77. Voi non potete immaginare cosa significhi lasciare questa sede.

Entrare con l’auto. Parcheggiare e raggiungere il mio ufficio in fondo a sinistra proprio accanto alla biglietteria, con l’entrata da via Gastaldi. Un tempo la sede del Toro, quando il Toro era grande. Quante feste sono state organizzate qui in tempi lontani ed io ero così piccola che mai avrei pensato che un giorno ci sarei venuta a lavorare in questa Palazzina. Coloro che sono ritornati in questi anni, con gli occhi lucidi mi hanno raccontato di quando ragazzi dormivano in due, tre, quattro per camera. E Luciano Moggi saliva ogni sera a dare loro la Buonanotte. Altri tempi, altri ragazzi, altre usanze. Quando i contratti non erano milionari ma recavano con sé milioni di speranze e di certezze. Perché alcuni di quei ragazzi del vivaio che qui dormivano sono approdati in altre squadre portando con sé lo spirito Toro, altri, i più fortunati nel Toro ci hanno giocato. Ho cercato di fare del mio meglio in questi anni, far rivivere quello spirito e trasmettere quello che mio padre mi ha insegnato e che io un giorno spero di trasmettere a mio nipote Tommaso. Ho condotto, proprio come un bravo cicerone, le persone che qui venivano in visita, ad ammirare, nel sottosuolo, la palestra dove i ragazzi si allenavano quando era troppo freddo per uscire. Ci sono ancora i foglietti appesi al muro con i numeri delle scarpe. E poi salire su fino alla torretta che reca ancora i colori granata nello zoccoletto. Guardo la bandiera che sventola fiera e penso che tra qualche giorno dovrò restituirla a Carlo Testa che l’aveva preparata per me per la festa di Natale, l’ultima festa organizzata con i ragazzi del settore giovanile e Tina Rossi orgogliosamente me l’aveva consegnata. La bandiera granata. Per far rivivere lo spirito meraviglioso di quegli anni memorabili.

Da Pianelli alla sottoscritta. Da un grande Presidente ad una scrittrice diventata tale grazie al Toro. Semplicemente. Si chiude così un’era. Non ci sono parole per esprimere quello che sento. Vorrei potervi raccontare le sensazioni che soffocano il mio cuore e arrivano su fino alla gola stringendola in un nodo. Ma non ci riesco. E’ un nodo d’amore che mi fa piangere e così sarà ogni volta che ripenserò agli irripetibili anni che ho trascorso qui avvolta da questo grande, immenso abbraccio granata.