Torino, quando l'allenatore fa la differenza

07.10.2012 11:22 di  Marina Beccuti   vedi letture
Fonte: Matteo Gabiano
Torino, quando l'allenatore fa la differenza
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

In attesa della partita di domenica pomeriggio contro un Cagliari in cerca d’identità e riscatto, i tifosi del Toro, in estasi dopo l’altisonante vittoria di Bergamo, cominciano a domandarsi quali siano le reali potenzialità della formazione granata. Il bilancio di queste prime sei giornate di campionato vede il Toro al sesto posto con 8 otto punti, conseguiti al termine di 2 vittorie (3 a 0 al Pescara in casa e il sopracitato 1-5 all’ Atalanta), 3 pareggi e un’immeritata sconfitta contro l’Inter. Ma al di là dei singoli risultati, è il dato relativo ai gol subiti a stupire: solo 4 in 6 giornate. L’ aver subito così pochi gol è indice di un reparto, quello difensivo, che non si è fatto intimorire dal prestigioso palcoscenico della Serie A e che, guidato da un insormontabile Angelo Ogbonna e un monumentale Jean Francois Gillet, è riuscito trovare una solidità che nemmeno il più ottimista dei tifosi avrebbe auspicato ad inizio stagione. Nel calcio, però, non c’è difesa che funzioni senza un centrocampo che le garantisca l’adeguata copertura e, a tal proposito, un certo Alessandro Gazzi e il suo continuo ed efficace lavoro di contenimento meriterebbero un plauso. Il ventinovenne ragazzo di Feltre non avrà dei piedi levigati e una tecnica eccelsa, ma corre, si sacrifica e recupera un impressionante numero di palloni a partita. Gazzi è l’ unico centrocampista a figurare sempre nell’11 titolare dalla prima giornata a oggi e il motivo va ricercato nell’ esigenza, da parte di Ventura, di un mediano che strappi il pallone agli avversari e crei i presupposti per far ripartire velocemente i giocatori del reparto offensivo. Accanto a lui, occorre la presenza di un centrocampista di qualità e, quando si parla d’ estro e fantasia, non si può non pensare a Matteo Brighi. Quest’ultimo, reduce da un paio di buone prestazioni, è ancora alla ricerca della migliore condizione, ma la sensazione induce a pensare ad un giocatore in continuo miglioramento e capace di dettare i tempi lì in mezzo al campo. Una nota di merito va rivolta anche agli esterni: Cerci ha mantenuto le aspettative e ha dimostrato di poter essere decisivo ai fini del risultato, Santana gode di doti tecniche seconde a nessuno e Stevanovic, dopo un inizio poco esaltante, sembra essersi finalmente sbloccato grazie al pregevolissimo gol di domenica scorsa.

Finora sono stati elencati gli aspetti più positivi della squadra, ma è bene soffermarsi ad analizzare anche i cosiddetti “punti deboli” o “aspetti su cui lavorare”. Ecco che arriviamo, quindi, a parlare dell’attacco. Sembra quasi paradossale criticare il reparto offensivo di una squadra in grado di vincere 5 a 1 in trasferta, fatto sta che, match di Bergamo escluso, al Toro è mancato troppo spesso l’ultimo passaggio, la tanto sospirata capitalizzazione di una manovra sì bella e ben collaudata, ma ancora incompleta dalla trequarti in su. Ma cos’è che manca là davanti? Il credo venturiano, il 4-2-4, prevede un giro palla che, partendo dalla difesa, cerchi la via del gol attraverso il dinamismo dei centrocampisti, gli inserimenti degli esterni e i continui movimenti senza palla degli attaccanti. Da quanto è emerso in questi primi incontri il Toro, vicino all'immenso Bianchi, deve ancora trovare quel giocatore che funga da raccordo tra il centrocampo e l’attacco, quella seconda punta che, grazie ai suoi movimenti, metta se stessa e i suoi compagni di reparto nelle condizioni di segnare. Per capire quanto sia imprescindibile per Ventura un giocatore di tali caratteristiche, basta avere un po’ di memoria e ricordare il campionato di Barreto ai tempi del Bari (14 gol in 31 presenze) e, riavvicinandoci ai giorni nostri, l’importantissimo contributo fornito da Antenucci nella trionfale cavalcata dell’ anno scorso verso la A. Nella rosa attuale, i giocatori che possono ricoprire questo ruolo sono Alessandro Sgrigna e Gianluca Sansone. Il primo, arrivato in Serie A alla veneranda età di 32 anni, si mette sempre al servizio della squadra con impegno e umiltà, ma non ha dalla sua il ritmo (e l’ età) per garantire a Ventura continuità di rendimento e freschezza atletica. Il secondo, invece, abituato al campionato di B, appare un po’ intimorito dalla maggiore fisicità dei difensori avversari e non è ancora riuscito a tirar fuori dal cilindro quelle giocate con cui solo un anno fa si è reso protagonista al Sassuolo.

Il Toro concede poco, non si disunisce, soffre quando c’è da soffrire e ha qualità sulle fasce, ma, in ultima analisi, è lecito affermare che il merito del suo momentaneo successo vada attribuito ad un allenatore, Giampiero Ventura, capace di sopperire ai limiti dei singoli attraverso il bel gioco e l’organizzazione tattica. La sensazione dopo la partita di Bergamo è quella di una squadra in continuo miglioramento su tutti i fronti e se il problema è il gol, lo scrupoloso lavoro del mister granata darà i suoi frutti già negli incontri a venire. Non ci rimane che attendere le prossime partite con la consapevolezza che ogni piccolo miglioramento non potrà che rendere sempre più in discesa la strada verso la salvezza.