Addio al grande "Vecio" Bearzot
Nella metafora della vita e del suo addio ci appare Enzo Bearzot sorridente che bussa alla porta di Pertini per finire quella lunga partita a carte che cominciarono a giocare sull'aereo che riportò l'Italia dell'82 a casa con il titolo di Campione del Mondo. Ci piace ricordare due grandi dello sport e della politica, ma anche della vita civile di questo paese, insieme anche dopo la dipartita da questo mondo terreno. Perchè Pertini e Bearzot hanno rappresentato uno degli ultimi momenti dignitosi di questo paese, cui vale la pena ricordare e commuoversi allo stesso. Quello di Bearzot era un calcio ruspante, fatto anche di silenzi, i suoi, da buon friulano, uomo tutto d'un pezzo, distaccato dai trionfalismi e dall'esposizione mediatica. Era un "figlio" del Paron Nereo Rocco, che affiancò in panchina quando entrambi erano al Torino. Già Bearzot, un figlio del Filadelfia quando lo stadio era ancora in piedi, una passione granata che ha conservato per mantenere alta quella coscienza della memoria che rimane dentro solo agli uomini veri e Bearzot lo era. Il Bearzot giocatore, per chi l'ha visto all'opera, giocava davanti alla difesa, era arcigno ma mai duro con gli avversari ed era un buon colpitore di testa. Fu anche capitano del Torino, in un periodo non del tutto positivo per la squadra granata, in netto declino dopo la tragedia di Superga che era ancora viva all'epoca dell'ex ct azzurro, infatti non era passato ancora un decennio dall'epopea del Grande Torino. Bearzot, che giocò in due tappe distinte per i colori granata, prima dal '54 al '56 e poi dal '57 al '64 (dal '56 al '57 passò all'Inter) visse anche la retrocessione granata, quella del '59. Subito dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, intraprese la carriera di allenatore e cominciò proprio dalle giovanili granata, che allenò dal '64 al '67, poi passò al Prato che divenne la sua prima panchina da professionista.
Bearzot non amava le esternazioni starnazzate, perchè lui di calcio ne capiva veramente tanto e anche di uomini, per cui non aveva bisogno di andare a pontificare le sue idee in tv. Infatti i suoi ex giocatori lo ricordano proprio così. "Era onesto sia nella severità che nella bontà", ha detto Marco Tardelli a RaiNews24. L'urlo dell'azzurro resterà nella storia e Berzot l'avrà rivisto mille volte nel momento in cui ha sentito passargli via la vita e allora ha ripassato in quel suo ultimo respiro tutto il suo passato, assaporando il tabacco della sua immancabile pipa. Ciao Vecio, con te sale lassù il calcio vero fatto di campi, sudore e della classica partita domenicale. Se puoi intercedere per noi riportaci in terra quel calcio lì, ci manca tanto, soprattutto la sua umanità.