Ora i tifosi vietano pure di pregare
ROBERTO BECCANTINI
Comandano loro, i tifosi (chiamiamoli così). Dentro gli stadi, e fuori. Se l’ordine a perdere contro l’Inter, inflitto dal popolo laziale ai suoi eletti, ha fatto il giro del mondo, che dire del «Cairo Urbano, a Superga non ti vogliamo» esposto sabato nella curva Maratona?
Per la cronaca, e per la storia, Cairo è il presidente di quel Toro che ieri ha celebrato il giorno della sua memoria e della sua tragedia somma. Ebbene, mancava solo lui: il generale pagante e garante, espulso dai suoi stessi soldati. Siamo ormai al di là del bene e del male. Aveva ragione, Fabio Capello, quando proclamò che il calcio italiano è in mano agli ultrà: ma per difetto.
Fare il tifoso è diventato un mestiere. Comanda, minaccia, aggredisce, ricatta. «Il divieto di commemorazione» altro non rappresenta che l’ultimo segnale, l’estremo paradosso. Dalla magia della passione alla strategia della tensione: l’impunità progresso.