Norme Figc, sospensione per i dirigenti dei club condannati per frode sportiva

12.11.2011 12:24 di  Marina Beccuti   vedi letture
Norme Figc, sospensione per i dirigenti dei club condannati per frode sportiva
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I dirigenti delle società di calcio condannati in primo grado per frode sportiva dal Tribunale di Napoli devono essere sospesi dai propri incarichi. E’ quanto rileva Federsupporter in una nota (che si allega in calce al presente comunicato). Infatti, spiega l’avvocato Massimo Rossetti responsabile dell’area legale di Federsupporter, la condanna con sentenza non definitiva per il reato di frode sportiva fa scattare la sospensione dagli uffici direttivi della società di appartenenza fino ad eventuale successiva sentenza assolutoria. La sospensione è disposta, sottolinea Federsupporter, dall’articolo 22/bis delle Noif (Norme Organizzative Interne della FIGC): la disposizione stabilisce che restano sospesi dalla carica di dirigente di società coloro i quali vengano condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato, tra gli altri, di frode sportiva. La sospensione permane sino ad eventuale, successiva sentenza assolutoria.

Inoltre, spiega ancora Federsupporter nella nota, la sentenza del Tribunale di Napoli nei confronti di alcuni presidenti e dirigenti di società di calcio contiene anche il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive. Ciò costituisce un vero e proprio Daspo, poiché la legge 91/2007 “antiviolenza” ha stabilito che «per tutti i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive – evidenzia Federsupporter – con la sentenza di condanna, il giudice deve disporre il Daspo». «Né vi possono essere dubbi circa il fatto che il reato di frode sportiva sia causato da manifestazione sportiva o sia ad essa connesso» conclude Federsupporter.

Il presidente

Alfredo Parisi

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NOTA FEDERSUPPORTER SULLA SENTENZA

DEL TRIBUNALE DI NAPOLI


                                   Roma 11 novembre 2011

  Calciopoli: conseguenze della sentenza del Tribunale di Napoli
(Avv. Massimo Rossetti – Responsabile dell’Area Giuridico -Legale)

Pochi giorni or sono il Tribunale Penale di Napoli ha emesso la sua sentenza in merito alle vicende che comunemente vanno sotto il nome di Calciopoli. Con riferimento ad alcune condanne di Presidenti e Dirigenti di società di calcio per il reato di frode sportiva e, segnatamente, con riferimento a provvedimenti interdittivi pronunciati con tali condanne, alcuni nostri soci hanno chiesto all’Associazione di esprimere un parere tecnico-giuridico al riguardo.
Ciò premesso, espongo quanto segue. L’interdizione dagli uffici direttivi di società sportive e il divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive sono espressamente e obbligatoriamente stabiliti dall’art. 5 della Legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e a tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive), quali pene accessorie alla condanna per il reato di frode sportiva previsto dall’art.1 della medesima legge.

L’irrogazione dell’interdizione dagli uffici direttivi di società sportive determina immediati riflessi nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

L’art. 22/bis delle NOIF (Norme Organizzative Interne della FIGC) stabilisce, infatti, che restano sospesi dalla carica di dirigente di società coloro i quali vengano condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato, tra gli altri, di frode sportiva.

La sospensione permane sino ad eventuale, successiva sentenza assolutoria.

Inoltre l’art. 9 del Regolamento della Lega Nazionale Professionisti stabilisce che i Consiglieri federali devono avere i requisiti previsti, tra gli altri, dall’art. 22/bis citato.

Non mi pare, dunque, che le norme richiamate diano luogo a particolari problemi interpretativi ed applicativi.

Un dirigente di una società di calcio condannato in primo grado, quindi con sentenza non definitiva (l’art. 27 della Costituzione stabilisce che non si è colpevoli fino alla condanna definitiva), per il reato di frode sportiva, resta sospeso dagli uffici direttivi della stessa società fino ad eventuale, successiva sentenza assolutoria, rimanendo, altresì, sospeso, oltre che dalla carica societaria, da cariche ricoperte nella FIGC e nella stessa Lega Nazionale Professionisti.

Le sospensioni in discorso non hanno natura sanzionatoria per violazione di norme dell’ordinamento sportivo, poiché non sono frutto dell’accertamento e della conseguente punizione in sede di giustizia sportiva di tale violazione, come è avvenuto a seguito delle decisioni della suddetta giustizia per i fatti di Calciopoli, bensì come conseguenza di un reato accertato e sanzionato in sede di giustizia ordinaria.

Non si può, pertanto, a mio avviso, parlare, come pure qualcuno vuole sostenere, di un “bis in idem”, nel senso che chi è stato già condannato in sede di giustizia sportiva per le medesime vicende per cui è condannato in sede di giustizia ordinaria per il reato di frode sportiva subirebbe una doppia sanzione per un identico fatto.

La sospensione dalle cariche sociali, federali ed in Lega, per effetto della condanna in sede penale per il reato di frode sportiva, non ha, infatti, come rilevato, natura sanzionatoria per una violazione di norme dell’ordinamento sportivo, per cui vi sarebbe effettivamente un” bis in idem”, bensì natura meramente cautelare, come riflesso nell’ordinamento sportivo di un provvedimento assunto nell’ordinamento statale.

La sentenza del Tribunale di Napoli nei confronti di alcuni Presidenti e Dirigenti di società di calcio contiene anche il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive.

La legge 13 dicembre 1989, n. 401, introduttiva, all’art. 6, del suddetto divieto, meglio noto come DASPO, non prevedeva che questo provvedimento fosse adottato nei confronti di coloro i quali fossero stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per il reato di frode sportiva, essendo già previsto tale divieto, come ricordato, all’art. 5 della medesima legge, quale pena accessoria alla condanna per il suddetto reato.

Il successivo decreto legge, così detto “antiviolenza”, n. 8/ 2007, convertito con modificazioni nella legge n. 91/ 2007, ha stabilito che, per tutti i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, con la sentenza di condanna, il giudice deve disporre il Daspo.

Né vi possono essere dubbi circa il fatto che il reato di frode sportiva sia causato da manifestazione sportiva o sia ad essa connesso.

Ne consegue che, per effetto della succitata novità legislativa di cui al decreto legge n. 8/2007, convertito nella legge n. 41/2007, il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive, previsto originariamente , con riferimento alla condanna per frode sportiva, quale pena accessoria, deve oggi considerarsi, a tutti gli effetti, un vero e proprio Daspo.

Un provvedimento, cioè, come insegna la Corte di Cassazione, non avente natura sanzionatoria penale, bensì di misura, sia pure atipica, di prevenzione.

Una misura, vale a dire, disposta indipendentemente dalla commissione di un reato, di natura perciò, non penale, bensì amministrativa.

Ad essa, dunque, non si applicano le norme di cui all’art. 2 C.P., secondo le quali nessuno può essere punito per un fatto che, in base alla legge del tempo in cui fu commesso (le vicende di Calciopoli risalgono a prima del 2007), non costituiva reato, nonché, se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.

Come si è visto, infatti, il Daspo è un provvedimento amministrativo, non penale, che non sanziona un reato, bensì ha lo scopo di prevenirlo e la cui adozione, quindi, prescinde, per definizione, dalla commissione di un reato.

Al Daspo, pertanto, si applica la legge del tempo in cui è emesso, ancorchè i fatti per cui è emesso siano precedenti e ancorchè al tempo in cui si siano verificati fossero esistite norme più favorevoli a chi li avesse commessi.

Ci viene, poi, chiesto se l’eventuale prescrizione del reato di frode sportiva equivalga alla sentenza di assoluzione di cui parla l’art. 22/bis delle NOIF.

A mio avviso, la risposta deve essere negativa.

La sentenza di assoluzione si ha, ai sensi dell’art. 530 C.P.P., se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione.

Si ha, invece, ai sensi dell’art. 531 C.P.P. , dichiarazione di estinzione del reato, se quest’ultimo è, per l’appunto, estinto per prescrizione : cioè una estinzione determinata dal decorso del tempo.

Alla luce di quanto sopra, non può, quindi, dirsi che sentenza di assoluzione e dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione si equivalgano.

Alcuni nostri soci, sostenitori e piccoli azionisti della SS Lazio spa, ci hanno, infine, chiesto di precisare se l’attuale Presidente del Consiglio di Gestione della Società abbia riportato altre condanne comportanti l’interdizione dagli uffici direttivi della stessa Società.

A quanto consta a Federsupporter, risulta che, con sentenza n. 2949 del 3 marzo/15 luglio 2009, il Tribunale di Milano, Sez. II penale, nel condannare il predetto Presidente a due anni di reclusione e a € 65.000 di multa per i reati di aggiotaggio manipolativo e informativo del mercato finanziario e di ostacolo all’attività di vigilanza della Consob, ha interdetto lo stesso Presidente per la durata di un anno dai pubblici uffici e dagli uffici direttivi di persone giuridiche.

Peraltro, essendo la sentenza non definitiva e non figurando i reati di cui sopra nell’elenco di quelli previsti dall’art. 22/bis delle Noif della FIGC (cosa, in vero, singolare, stante il fatto che le società professionistiche di calcio sono società con fine di lucro e, quindi, quotabili, anzi, come Juventus Lazio e Roma, quotate in Borsa), la stessa FIGC ha ritenuto, dandone formale comunicazione a Federsupporter, non doversi applicare il citato art. 22/bis.

Per completezza di informazione, è opportuno precisare che i medesimi fatti (violazione dell’obbligo di OPA risalente al giugno 2005 a seguito dell’esistenza di un patto parasociale occulto tra il suddetto Presidente e l’arch. Mezzaroma) che hanno dato luogo alla sentenza del Tribunale penale di Milano, hanno formato oggetto di una sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, l’1/17 dicembre 2009, che, in sede amministrativa, ha definitivamente accertato l’esistenza del patto e la conseguente violazione dell’obbligo di OPA.

In tale sentenza si dice espressamente che, se l’OPA fosse stata correttamente promossa nel giugno 2005, anziché come è avvenuto nel dicembre 2006, ai piccoli azionisti, che detengono circa il 33% del capitale sociale, si sarebbe dovuto offrire un prezzo di acquisto delle loro azioni pari a € 0,79 per azione, invece di € 0,40 per azione offerto nel 2006, con conseguente danno complessivo per detti azionisti, non essendo stati questi messi in grado di ricevere l’OPA nel giugno 2005, stimabile in circa € 10 milioni,senza contare gli interessi legali e l’eventuale maggior danno da svalutazione monetaria.

Sempre per completezza di informazione, è opportuno ricordare che l’art. 3 dello Statuto della SS Lazio spa prevede, tra l’altro, che le attività di cui all’oggetto sociale devono essere esercitate “con l’osservanza delle norme direttive della Federazione Italiana Giuoco Calcio e dei suoi organi“ .

Avvocato Massimo Rossetti
Responsabile area legale Federsupporter