Torino, ricordandoci....
A noi, nostalgici che ricordiamo gli eterni valzer di panchine tra Novellino-De Biasi, i Bjelanovic infallibili sotto porta, i campioni del Mondo che una volta da noi si ricordano di essere un po’ scarsi.
Senza dubbio gli anni dell’apoteosi granata, quella delle promesse e degli slogan, non si collocano con Vidulich e Cimminelli, ma nell’epoca post-fallimento dove un po’ tutti eravamo convinti che finalmente sarebbe arrivato il nostro momento: l’Olimpico rinato, un gruppo di ragazzi che conquistavano una promozione in Serie A senza neanche 10 giorni di preparazione sulle gambe, l’entusiasmo lampante grazie ai cugini in cadetteria. L’anno 2006, al di là dei festeggiamenti per il glorioso centenario, poteva essere davvero il trampolino di lancio per il Torino dell’imprenditore di Masio (AL) Urbano Cairo. Con le mille penalizzazioni dovute al processo Calciopoli c’erano tutti i presupposti per un anno tranquillo, senza troppi guai. Ma si sa, a noi è sempre piaciuto avere problemi. Dapprima, l’animo umile sparì improvvisamente: Zaccheroni arrivò a praticare il suo 3-4-3 con Konan e Abbruscato e non bastarono le magie di quel Rosina così amato e dimenticato allo stesso tempo. L’ambiente nello spogliatoio era più teso che mai con i vari Fiore e Oguro. La salvezza arrivò per quel pareggio 0-0 con il Livorno e grazie a diversi uomini veri come Brevi e Ardito, forse troppo per restare in quel “progettone” di Walter Novellino. Nell’estate del 2007 arrivarono 13 giocatori nuovi di zecca, compreso quel Recoba che a “Monzon” non serviva più di tanto e la “spontaneità” di Re David Di Michele. La squadra tonfa, si ricorre al sempre disponibile Stellone, alle super parate di Matteo Sereni e puntualmente De Biasi ritorna salvando la categoria, ma non la decadenza morale di una squadra che due anni dopo con il solito tran-tran retrocederà con un punteggio di 34 punti (Il Sassuolo di quest’anno si è salvato con 33 punti, per rendere l’idea) e con soldi buttati a caso per gente come Amoruso. Perché, in fondo, serve ricordare da dove arriviamo.
Articolo scritto da Stefano Gurlino, collaboratore di Radio Granata