RATEIZZARE i debiti del calcio? Non conviene

11.10.2008 10:56 di  Marina Beccuti   vedi letture
Fonte: Il Pallone in confusione

Permettete una parola? C’è una famosa canzone napoletana scritta da Ernesto Murolo (padre di Roberto) ed Ernesto Tagliaferri, il cui ritornello dice: "E io canto: qui fu Napoli!...Nisciuno è meglio 'e me...Dimane penzo ê diebbete stasera só' nu rre!". Traduzione: Io canto, qui fu Napoli…e chi è più felice di me: domani penserò ai debiti, stasera mi sento un re. Questi versi si addicono perfettamente alla situazione del calcio italiano, che ha vissuto e continua a vivere al disopra delle proprie possibilità: la maggior parte delle società ha contratto debiti ingenti e ha chiesto di rateizzarli. In modo particolare con le banche, il fisco, gli enti previdenziali e, a cascata, con dipendenti e fornitori. Le somme dovute all’Erario sono state dilazionate: l’Agenzia delle entrate si è mostrata molto indulgente verso il mondo dell’italica pedata a causa anche di una legislazione (peraltro molto opinabile) molto meno rigorosa rispetto al passato. In questo quadro poco edificante, sono poche le isole felici come il Napoli di Aurelio De Laurentiis, dove grazie a un politica di gestione vincente sono stati incassati una serie di ingenti ricavi che hanno ripianato il debito di 32 milioni contratto con Unicredit nel 2004 per acquistare il ramo sportivo dalla curatela fallimentare della defunta Ssc Napoli.


Riguardo a costi e debiti, proprio in questi giorni è scoppiato il problema della serie B sommersa dalle passività. Una questione che le società della serie A vorrebbero risolvere con una bella e risolutiva scissione. Lo ha rivelato lunedì scorso il presidente del Cagliari Massimo Cellino uscendo dall’assemblea dei club della massima serie: "Siamo già separati, non ci resta che prenderne atto". Il numero uno sardo ha anche aggiunto che occorrerebbe farlo ora "in vista delle elezioni per il rinnovo dei vertici federali. Altrimenti dovremo aspettare altri quattro anni". Un progetto, che maschera un’eventuale superlega, che ha le sue radici nel periodo immediatamente precedente allo scandalo di Calciopoli del 2006. Antonio Matarrese ha però prontamente detto che finché ci sarà lui al vertice della lega le due categorie vivranno "sotto lo stesso tetto". Per ora tutto è stato risolto con la nuova mutualità, che è comunque meno ricca della precedente. In dettaglio, ci sono 7,5 milioni di euro che saranno elargiti dalle tre neopromosse e che vanno ad aggiungersi ai 65-70 (cifra dipendente dai ricavi della Coppa Italia) che giungeranno dalla serie A e ai 7 garantiti dall’advisor per la vendita dei diritti del campionato.


L’eventuale ipotesi di scissione è completamente assurda e non serve ad alleviare le forti passività delle società. Ciò si può spiegare con una citazione dal celebre libro "Ab urbe condita" di Tito Livio: sicuramente piacerebbe al presidente della Lazio, Claudio Lotito, che forse se ne approprierebbe. In esso si narra dell’apologo di Menenio Agrippa alla plebe in sciopero sul Monte Sacro a Roma: egli paragonò la società dell’Urbe al corpo umano, dove ogni membro ha una parte ben definita e necessaria per il suo corretto funzionamento. Ebbene, anche la serie A e la serie B possono essere paragonate a un unico organismo: le squadre cadette hanno forgiato calciatori, e spesso anche campioni, acquistati da quelle della massima serie che offrivano un sostentamento per la categoria inferiore. Così il sistema è andato avanti per anni, fin quando non è arrivata l’era della tv criptata e dello scopo di lucro delle società calcistiche che ha demolito tutto. Occorrerebbe ripristinarlo con forme aggiornate e appropriate: ha tanto giovato in passato al movimento pallonaro.
Invece, si è pensato alla scissione tra i due campionati, poiché qualcuno pensa che la B sia una specie di "zavorra" economica: ma è un vero e proprio suicidio. Per il momento è stata posta in un cassetto: ma niente vieta che possa essere riproposta in un futuro nemmeno troppo lontano. Per i cadetti è stata ideata anche la "spalmatura" degli elevati stipendi dei calciatori. Ciò significa, come fu cinque anni fa per il "piano Baraldi" alla Lazio, soltanto spostare nel tempo le cifre dovute ai giocatori. Si ricordava all’inizio che le società sono debitrici verso gli istituti di credito, il fisco e gli enti previdenziali: anche qui si applica la regola del "quant’è bello rateizzare". Ma questo genere di operazioni si traduce in una serie di costi ulteriori: per il svolgere un piano di ripartizione delle somme dovute occorre ottenere le fideiussioni bancarie oppure assicurative. La quale si traduce in altri costi in termini di commissioni, anche se spesso è accompagnata dall’investimento in prodotti che concedono somme di denaro. I debiti inoltre creano interessi molto consistenti, oltre ad eventuali rivalutazioni, che devono essere onorati: essi costituiscono una sorta di "tassametro" che scatta in continuazione, poiché in gran parte dei casi le squadre hanno ottenuto prestiti con saggi variabili. E con la crisi finanziaria attuale e il tasso di riferimento bancario Euribor schizzato alle stelle non gli interessi non sono destinati a scendere, almeno per ora. Insomma, la rateazione non conviene poi così tanto: anzi, è un modo per pagare di più in maggior tempo.

L’unica cosa da fare è tagliare i costi: a cominciare dagli ingaggi dei calciatori. Lo ha capito anche l’Uefa, che ha cominciato a scagliare il suo anatema dell’esclusione dalle coppe contro tutte le società indebitate. E ci sono anche i club inglesi, che fino a pochi mesi fa erano additati come modello: ora si scopre che hanno un buco di ben 3,8 miliardi di euro. Il problema è quindi internazionale: la serie B è solo la punta dell’iceberg. Bisognerà vedere se c’è la concreta volontà da parte dei dirigenti del mondo del pallone europeo di sedersi al tavolo e cambiare tutto: una volontà che finora non traspare. Ma il mondo del calcio riuscirà a evitare di fare la fine del Titanic?


Marco Liguori