Il calcio in bolletta
Il calcio italiano è in bolletta. A leggere il reportage uscito su "Il Sole 24 Ore" ad inizio mese, l'intera serie A accusa un indebitamento complessivo di due miliardi di euro. Numeri da rabbrividire, specie se raffrontati con il patrimonio netto disponibile delle società, vale a dire appena 600 milioni. Ciò significa che il Gotha del calcio nostrano viaggia a debito per quasi tre volte e mezzo il suo valore. La continuità aziendale è stata finora garantita dalla copertura delle perdite attraverso cospicui assegni firmati dai proprietari dei club. I quali, Moratti e Berlusconi docent, si sono però accorti che il giocattolo è più oneroso che divertente, riponendo quindi il carnet nel portafogli in nome dell'autofinanziamento tanto caro alle provinciali. Tali cifre rappresentano la prova provata che questo non è un mondo a sè e che le spese ad esso associate sono fuori da ogni logica di mercato e manageriale. Sarebbe bene che tutti se ne assumessero le responsabilità, a partire dai presidenti che hanno garantito la luna a chi al massimo avrebbe potuto pretendere un telescopio amatoriale, proseguendo con i procuratori sempre più avidi e che se dipendesse dalle loro brame trasferirebbero il Colosseo a Milano e il Duomo a Roma, per finire ai giocatori che faticano a capire che il tempo delle vacche grasse è finito. E' notizia recente la scomparsa di piazze importanti come Avellino, Pisa, Treviso e Venezia, di realtà ben piantate in Lega Pro come Pistoiese e Sambenedettese, o di realtà emergenti come Biellese ed Ivrea. Il Presidente della Figc Giancarlo Abete, in attesa dei ripescaggi da compiere a fine luglio (dai requisiti economici molto più pesanti che in passato) ha affermato che una riforma dei campionati è un'ipotesi da valutare e sulla quale trovare il consenso delle società. Questo numero esorbitante di squadre, figlio del papocchio imposto da Luciano Gaucci quando bastava rivolgersi al Tar sotto casa per ottenere giustizia, deve essere rivisto. Passare nuovamente a tornei (almeno) a diciotto squadre sarebbe una manna per abbassare i costi e ridare appeal ad un campionato con troppi figuranti di livello scabroso. Aspettiamo fiduciosi, anche se già in passato periodi di austerity sono stati succeduti da allegre gozzoviglie.
Mentre in Italia gli unici a smuovere le acque sono Juventus, Genoa – interessantissima la scommessa Palacio - e Napoli (velo pietoso per il Milan irriso dalle dirigenze mondiali, mentre l'Inter è sempre fossilizzata sui capricci svedesi), il mercato europeo registra il ritorno in scena dei petroldollari del Manchester City che fanno del club tanto caro agli Oasis una specie di copia in sedicesimo del Real Madrid. Tevez ed Adebayor acquistati in 48 ore, la sensazione che qualcuno fra Terry e Puyol cederà alle lusinghe ed ecco che una squadra modesta, impreziosita solo da Robinho e dalle paturnie di Elano, può aspirare a ritagliarsi uno spazio importante. Del resto, in un mercato soffocato dai debiti, chi può fare la differenza? L'emiro che spende e spande ed il presidente madrileno che ottiene un maxi prestito dalle banche che poi dovrà restituire con gli interessi. Tutto il resto è debito.