Culicchia: "Vorrei una società capace di una programmazione volta a costruire un progetto"

Culicchia: "Vorrei una società capace di una programmazione volta a costruire un progetto"
© foto di Culicchia
Oggi alle 16:04Primo Piano
di Marina Beccuti

TorinoGranata ha intervistato in esclusiva lo scrittore torinese e tifoso granata Giuseppe Culicchia, che ha un nuovo libro sul Toro in uscita il prossimo 19 settembre: "Torino, 16 maggio 1976. Un tuffo al cuore, vecchio e granata", ed. 66thand2nd.  

Giuseppe, lei non è nuovo a scrivere di Toro nei suoi romanzi, a parte il tifo, c'è davvero qualcosa di magico nella storia granata? 

"La storia del Torino è unica nel panorama del calcio mondiale, naturalmente per via delle imprese sportive e della tragica fine del Grande Torino. Ci sono poi stati come sappiamo altri lutti che hanno segnato nel dopoguerra la storia del club: non solo quello di Gigi Meroni, ma anche quello di Giorgio Ferrini, che smise di giocare l'anno prima dell'ultimo scudetto e che ci lasciò nel novembre del 1976, quando il Torino di Radice sembrava in grado di bissare il successo della stagione precedente, cosa che non avvenne per un solo punto di distacco dalla squadra allenata da Trapattoni. C'è poi la finale di Amsterdam, con la famosa sedia di Mondonico; c'è al di là di tutto questo l'identità di una squadra che storicamente ha incarnato un certo tipo di visione del mondo. Come diceva il Mondo, noi siamo gli indiani, loro sono i cowboy. Ecco perché il Torino ha una storia speciale, più che magica. Ed ecco perché nonostante tutte le recenti delusioni riesce ancora a farsi amare".

Il suo nuovo libro sta per uscire e dalle anticipazioni ci pare di capire che non c'è solo il momento dello scudetto, ma qualcosa che porta anche al sociale, al periodo che viveva l'Italia di fine anni settanta. Di cosa si tratta? 

"L'anno dello scudetto cadde a metà di quel decennio, gli anni Settanta, passati alla storia come gli anni di piombo. Anche se il campionato 1975/76 è raccontato attraverso gli occhi di un bambino, era inevitabile calare gli eventi sportivi dell'epoca all'interno del contesto storico e sociale nel quale ebbero luogo". 

Ha pensato a qualche personaggio particolare mentre scriveva questo libro? 

"Ho pensato a tutti i bambini che oggi tifano per il Torino senza avere mai avuto la gioia di assaporare una vittoria simile, e a tutti colori che invece hanno avuto la fortuna di vivere quel 16 maggio 1976".

Non le sembra però pesante parlare di Toro solo al passato? Non sarebbe ora di avere qualche speranza futura? 

"Chi dimentica il proprio passato non può avere contezza del presente e nemmeno guardare al futuro. Le radici sono importanti. Ciò detto, non possiamo nasconderci che la speranza che il Torino torni a essere quello che è stato è ormai tramontata per la maggior parte dei suoi sostenitori".

I tifosi ormai sono anni che hanno iniziato a contestare Cairo, fino a dove potranno arrivare? Riusciranno a far cambiare proprietà al Torino? Forse si sono svegliati tardi? 

"La tifoseria in passato ha contestato presidenti come Orfeo Pianelli e Sergio Rossi, contribuendo - specie nel caso di quest'ultimo - a far sì che lasciassero il Torino. Ma da quanto abbiamo letto di recente l'attuale presidenza si è a tal punto abituata alle contestazioni da non sentirle più. Se io fossi il presidente del Grosso, la squadra del paesino del Canavese dove ho trascorso la mia infanzia, e venissi contestato, mi interrogherei a fondo sulle ragioni della contestazione, cercherei di capire come posso migliorare".

Cairo dice che non c'è nessuno a fare offerte importanti. Ci crede o pensa che anche questo sia un bluff? 

"Non credo che si tratti di un bluff. Resto piuttosto stupito dal fatto che nessuno si faccia avanti seriamente per acquistare la proprietà di un club che ha grandi potenzialità, anche del punto di vista dell'investimento economico, visto il bacino di tifosi che ha ancora e nonostante tutte le delusioni si ostinano ad amare la Maglia".

Però, sinceramente, ce lo vede il Toro in mano a qualche fondo estero? 

"Io vorrei che il Torino fosse come il Barcellona o il Bayern Monaco, società dove la tifoseria stessa se non sbaglio è in qualche misura azionista del club. Ma soprattutto vorrei che il Torino avesse una società capace di una programmazione volta a costruire un progetto. Pianelli impiegò diversi anni a costruire il Torino dello scudetto. Il fatto che il nostro modello oggi siano diventati club come l'Atalanta o il Bologna è mortificante, non perché l'Atalanta o il Bologna non siano club degni di rispetto, ma perché un tempo era il Torino a essere il modello per gli altri".

Ha mai pensato di scrivere un nuovo romanzo immaginando un Toro futuro? 

"Francamente no".

Della squadra attuale cosa pensa? 

"Penso che, come accade da troppo tempo in qua, è una squadra incompleta, rivoluzionata, con un tecnico chiamato a fare miracoli viste le lacune della difesa. Il Torino ha vinto un derby negli ultimi vent'anni, e se è stato possibile è perché si sono sempre ceduti i giocatori migliori e si è sempre ricominciato da zero. Il contrario di quello che fece Pianelli".