Carlo Nesti: "Perché gli imprenditori piemontesi non comprano il Toro di Cairo?"

Ferrero, Lavazza, De Agostini, Balocco, Zegna, Inalpi, Miroglio, Boglione, e altri. Quante volte i tifosi granata hanno sognato, che un grande imprenditore piemontese acquistasse il Toro! E, visto che non è avvenuto, perché non è avvenuto?
Il timore di mettersi in concorrenza con la Famiglia Agnelli (Fiat, o Stellantis = Juventus) è stata una ragione plausibile, fino a qualche decennio fa. Ma ora John Elkann non ha tempo neppure per la Juve... figurarsi per il Toro... Il motivo, casomai, è anche caratteriale.
Prendete l'imprenditore-medio lombardo. È molto meno ricco di quello piemontese, ma ha un culto della propria immagine nettamente superiore. Volgarmente: spende e spande. Non ha paura di esporsi, e rischiare. Urbano Cairo, allevato da Berlusconi, è un potenziale "lombardo".
L'imprenditore-medio piemontese, al contrario, e penso a quante risorse ci sarebbero nel Cuneese, non ha il culto della propria immagine, è parsimonioso, si nasconde, e non rischia.
Giovanni Ferrero è l'uomo più ricco d'Italia, con un patrimonio di 43,8 miliardi di Euro. Non correrebbe mai il pericolo, acquistando il Toro, di inimicarsi i tifosi/clienti di altre squadre. Molto meglio sponsorizzare i singoli campioni di altri sport, per i quali tifiamo tutti.
L'ultima generazione, in particolare, non ha la passione calcistica delle generazioni precedenti. Esistono attrazioni differenti, dalle applicazioni tecnologiche, alle discipline olimpiche. Di conseguenza, i tifosi “subiscono” la dimensione-Cairo.
Io ritengo, che debba esistere un compromesso fra il realismo economico, e la storia sportiva di un club. Non è romanticismo pretendere, che il calcio sia, comunque, qualcosa di diverso dalla mera gestione di un'azienda. E sapete perché?
Perché il tifoso non sarà mai, completamente, "cliente", come lo sport business imporrebbe. Il tifoso sarà sempre, in una rilevante percentuale, espressione passionale della storia di un club.
Se quel club, anche tanti/troppi anni fa, è stato glorioso, recitando un ruolo importante nella leggenda del pallone, il tifoso pretenderà, ad esempio, che un bilancio non valga più di un piazzamento favorevole in classifica. Così come, altrove, non sarà mai possibile convincere il sostenitore, che un centro commerciale vale quanto uno scudetto.
Se verrà meno, anno dopo anno, questo rapporto sentimentale fra tifoseria e dirigenza, fatalmente, la gente si allontanerà dalla squadra. Da una parte, sarà continuativa la contestazione, e, dall'altra, il sostenitore cesserà di essere "cliente", in termini di presenze allo stadio, e, soprattutto, davanti alla televisione.
Ecco, perché si deve fare molta attenzione, nel volere trasformare il calcio in un prodotto, perché a volte può funzionare, e a volte no, qualora il tifoso si sentisse tradito. È il grave pericolo, che corre, da anni, il Toro di Cairo, sul filo del rasoio.
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