Müller: "Sento la mancanza di Torino. Mi piacerebbe rivedere gli amici"
Luiz Antônio Correia da Costa forse dice poco ai più, diverso è se parliamo di Müller. È questo il soprannome che lo ha accompagnato per tutta la carriera. Un calciatore estroso, che ha illuminato in Italia la platea di Torino, sponda granata: 24 reti dal 1988 al 1991, tante bizze ma grandissima classe. Un giocatore che ha fatto innamorare i ct in Brasile che lo hanno portato con loro da Messico '86 a USA '94 con in mezzo anche il Mondiale italiano. Un giocatore che è salito sul tetto del mondo sia con la Seleçao che col club: suo il gol decisivo al Milan nell'Intercontinentale del 1993 con la maglia del São Paulo. Oggi Müller ha 55 anni, è rimasto nel mondo del calcio e ha deciso di dedicare anche molto tempo a Dio. Ai microfoni di Tuttomercatoweb ci racconta la sua storia:
Luis Müller, cosa fa oggi?
"Oggi sono commentatore in tv, ho iniziato nel 2006 con i Mondiali in Germania. Lavoro per una TV privata a Sao Paulo, commento il campionato nazionale e paulista".
Leggiamo nelle sue vecchie interviste che ha anche abbracciato la fede
"Al termine della carriera ho scelto di essere legato alla chiesa, diventando pastore. Lo sono ancora adesso".
Come è conciliabile la fede con l'attività di commentatore sportivo?
"Riesco a fare entrambe le cose, senza mischiarle. Martedì e domenica in TV, gli altri giorni in chiesa a predicare la parola di Dio".
Restano comunque due mondi diversi con valori in contrasto
"Certo, se intendiamo il lavorare nel calcio come direttore è un'altra cosa, certamente più difficile e dentro un mondo sporco. Ma non è il mio caso: io parlo di calcio, come è andata la partita, analizzo i 90 minuti. Fine".
Ha provato però l'esperienza di allenatore
"Ci vuole pazienza per allenare i giocatori, soprattutto se sono come ero io (ride, ndr). E infatti mi sono reso conto che lavorare in TV è meglio, molto più semplice. Certo, uno può pensare: che bello sarebbe allenare la Seleçao ma non è mica facile e poi qui c'è una mentalità sbagliata. Una cosa che non ho mai preso in considerazione è la carriera dirigenziale: il calcio in Brasile è troppo sporco".
Il Müller che ricordiamo in Italia non era proprio l'immagine di giocatore casa e chiesa
"Andavo sempre in discoteca ma non era una cosa che mi condizionava in campo. Per me era una cosa normale andare a ballare con gli amici se la domenica facevo bene. E poi ero giovane e vitale, che male c'era? Da straniero ero molto curioso di stare dentro la cultura italiana, andavo ai ristoranti, ho fatto tanti amici, conosciuto il cibo migliore del mondo".
Niente saudade?
"Quella c'era, sono brasiliano. Ma mi sono trovato benissimo in Italia. E i tifosi mi amavano".
Si ricorda di Lei qualche bizza che ti aveva portato anche a lasciare Torino
"Ero troppo giovane, non avevo la testa giusta. Se devo dire la verità sento la mancanza di Torino, perché quando sono andato via non sono più tornato. E mi piacerebbe tornare e rivedere i miei amici con cui ho giocato insieme, come Cravero e Benedetti".
Dal Torino poteva andare alla Roma
"Mi voleva Dino Viola, io avevo dato la mia disponibilità. Ma nel corso del mio primo anno al Toro arrivò Mauro Borsano che volle tenere i migliori, compreso me".
La seconda chance in Italia è arrivata dopo qualche anno, al Perugia. Non proprio indimenticabile
"Arrivai a gennaio e rimasi appena 4 mesi. Mi trovavo bene nonostante giocassi pochissimo, a dire il vero. Anche con l'allenatore Nevio Scala il rapporto era buono ma a un certo punto mi chiama il Santos. Ho parlato con Luciano Gaucci, ho chiesto di voler tornare al Brasile e siccome a Perugia non giocavo ma al tempo stesso guadagnavo tanto ha deciso di liberarmi".
In carriera ha giocato tre mondiali col Brasile, vincendo nel 1994. E a livello di club salta all'occhio l'Intercontinentale vinta nel 1993 col Sao Paulo, segnando peraltro al Milan
"Sono stati momenti bellissimi, particolari nella mia carriera. Grazie a Dio la mia carriera come giocatore è stata bellissima ed è stato un piacere enorme. È chiaro che se vinci l'Intercontinentale giocando e segnando è meglio, ma tutti i tornei giocati sono belli".
Ronaldo, Bebeto, Romario, Careca... questi sono stati i compagni di viaggio. Chi il migliore?
"Sai, Ronaldo nel 1994 era un ragazzino. Per cui se devo scegliere dico che Careca era il centravanti più completo, troppo forte, un vero fuoriclasse".
Le piace Neymar?
"Sovrastimato, non vale tutti quei soldi che il Paris Saint-Germain anche perché non ha mai vinto il pallone d'oro. Intendiamoci, è un grande giocatore ma a mio avviso i grandissimi si contano a malapena sulle dita di una mano. Messi e Cristiano Ronaldo lo sono e lo hanno dimostrato sul campo. Neymar è valorizzato più fuori che dentro il campo".
Dulcis in fundo, il soprannome Müller le è rimasto ancora oggi. In onore del centravanti tedesco, conferma?
"L'origine del nome confermo che è per Gerd Müller, ma in verità io non sono chiamato così in onore del giocatore tedesco, bensì in onore di mio fratello maggiore. È lui il primo ad essere stato rinominato così e siccome io ero il fratello di Müller ho ereditato anche io il soprannome Müller".