Meroni, il giorno del ricordo
Era il 15 ottobre 1967 quando il Torino perse uno dei suoi figli più belli, Gigi Meroni, nato il 24 febbraio del ’43, un promettente campione, nato a Como, cresciuto al Genova, ma a Torino, sponda granata, stava trovando la sua consacrazione. Elegante, dirompente, leggiadro sull’erba, danzava sul campo come un artista dipinge quadri e lui era anche pittore. Fuori era considerato un trasgressivo per l’epoca, un anticonformista e al mondo del calcio iniziava a dare fastidio, perchè da sempre bisogna essere allineati al sistema delle apparenze.
Meroni, proprio lui, che un giorno decise di andare in giro per le strade di Torino con una gallina al guinzaglio, solo perché aveva fatto una scommessa con l’amico e compagno di squadra Natalino Fossati. Meroni che viveva in una mansarda con la sua compagna Cristiana, che era sposata, ma non poteva divorziare perché la legge ancora non glielo permetteva. Meroni che amava i Beatles e si pettinava alla Ringo Star, con i basettoni, i capelli lunghi e i baffi e, proprio a causa del suo look, parola ancora non usata all’epoca, perse la Nazionale perché Mondino Fabbri voleva solo giocatori “disciplinati”.
Genio e sregolatezza, qui nacque la leggenda prima ancora della sua fine. Fu soprannominato la “farfalla granata” perché sul campo volava e incantava, con il suo numero sette sul dorso a rincorrere una palla per posarla delicatamente in rete. Se ne andò proprio come una farfalla, colpita a freddo nella buia serata torinese e il Torino visse un’altra tragedia dopo quella di Superga. Quel suo ultimo volo assurdo gli bloccò il trasferimento alla Juventus, dove pare che l'allora presidente Pianelli l’avesse già venduto per fare cassa.
I più pessimisti dicono che oggi è quasi anacronistico unire il Toro al suo passato, perchè la squadra ed il nome avrebbero bisogno di nuova linfa (vero), che i bambini a scuola ci vorrebbero andare con la maglia di un campione vivo che riaccenda nuove fantasie. Il popolo granata, la gente come dice Cola, però è rimasto romantico, legato ai quei principi di una sana vita sportiva. Meroni non sarà mai dimenticato almeno fino a che ci sarà qualcuno a raccontarlo, come i cantastorie medievali, girando di corte in corte a ricordare che tempo addietro anche il Toro era un regno dove c'era ancora spazio per la poesia.
E per un altro anno ancora ti diciamo: Ciao Gigi, ricordati di noi mentre guardi quaggiù, in mezzo alla spazzatura di questa Italia senza più valori. Forse ci sarebbe bisogno di qualcuno che tornasse ad andare controcorrente. "Ciao amore ciao", cantò Tenco prima di chiudere gli occhi per sempre. Era il '67, se ne andò come Gigi, i geni vivono solo per un battito d'ali, che però rimane immortale.