Il magico Toro e la cabala

07.04.2012 18:54 di  Marina Beccuti   vedi letture
Il magico Toro e la cabala
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© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport

Il Toro è un entità che è espressione cabalistica pura, come materalizzazione sotto gli occhi di tutti e spesso monito e suggerimento al mondo ristretto di vedute, io lo vedo così il Toro e ieri ho assaporato cose di altri tempi, cose che sanno di reale, siccome non profumano ma sanno, come "l'acquazzone tempesta grandinosa" che ha coperto l'Olimpico.


Cose magiche  dove l'ozono che si respira a pieno naso sà di cielo che scende sulla terra a volte a chiamarci a volte ad esortarci a fare meglio, la maggior parte delle volte a farci riflettere... cose da Toro, cose capaci di interrompere posticipi televisivi e ricreare gente che si riconosce come gente di fronte all'ignoto regalato dalla natura, unita da un bagnato ritorno interrogativo verso casa.
Chi non ricorda Padova la recentissima Padova o l'acquazzone nordico che irrompe puntuale nei ritiri o negli spostamenti estivi del Toro, chi non sa dello scatenarsi acquatico sul Filadelfia durante le demolizioni con un drappello di folli a correre sul campo, bandierone del Toro in testa, ad irridere ruspe e politici?


Ma chi non sa della pioggia radiottiva di Cernobyl bagnare 20.000 pazzi accorsi, malgrado le raccomandazioni televisive, per vedere ancora una volta le gesta della "Radice e Pulici band" e sopratutto chi non sa di un temporale che oscurava la basilica di Superga?
Ah, malgrado il calcioballilla dei procuratori sportivi, l'Italia grassa dei commendatori e quella presuntuosa sporca e scollegata dal reale delle multinazionali e delle banche, i posticipi televisivi  e l'invasione degli sponsor: il Toro è sempre il Toro e me ne vado da questa serata con questa conferma da tenermi nel taschino e mettere sotto il cuscino e la ascolto e trattengo come goccie di pioggia trattenute nelle orecchie.


Lo sapevo, lo sapevo che la nonnultima  (si dice così?), partita del campionato avrebbe regalato sorprese e non poteva passare così, siccome il numero 9 non è che porti proprio bene al Toro, numero che significa rottura, spesso inteso anche cambiamento  e quindi per gli aperti di vedute tanto nefasto di per se non è, ma di rottura quest'anno nemmeno a parlarne ed ecco puntuale arrivare il salvifico acquazzone.


Al contrario il 6 è il numero fortunato che insieme al 7 ha sempre indicato momenti particolarmente forti a volte anche drammatici e la cui somma  da 13 , numero magico per eccellenza: 13 sono i trofei maggiori nella bacheca del club e poi : '49 cioè 4+9 = 13: Superga, 6+7=13: Meroni, 7+6=13: Scudetto e morte di Ferrini, eccetera eccetera.


Bene vincendo il Toro sarebbe passato dritto da 66 punti a 69, numero dove si combinano i due numeri inversi per natura propria a creare una stasi, una parentesi fuori dallo spaziotempo: insommma non si poteva passare così semplici come una piuma su di un mare di olio da 66 a 69 punti, ci voleva qualcosa e quel qualcosa c'è stato, materializzatosi anche nella marcatura di Glik, non Bianchi ma Glik, per giunta su calcio piazzato, un gol semplice, un gol da manuale un gol diciamo che noi del Toro non sappiamo nemmeno più cosa sia, tanto semplice e naturale ed assurdo risulta per Noi granata che siamo uomini ragno sempre in bilico, appesi tra due pareti da gran canyon tra il ricordo di chi ha già scritto il gol epico ed il perenne inventarsi come cavie umane nuove inedite anteprime e questo nel bello come nel brutto ma mai nell'anonimo e così sia.


Ieri abbiamo vissuto il brivido, l'ennesimo dell'apertura di una parentesi, come un buco nero od il manifestarsi di un quasar a sconquassare certezze e confortare la speranza, il resto è calcio giocato, che piace a Ventura e che lo si capisce col metro delle probalbilità fruttifere della manovra, ma lasciatemi andare a dormire con questa coscienza e cioè che il Toro è sempre il Toro e che molto grande è l'Universo.


Andrea Morè