Il destino dell'allenatore numero 13

30.11.2009 13:15 di  Giulia Borletto   vedi letture
Il destino dell'allenatore numero 13
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© foto di Federico De Luca

Colantuono era il numero 13, un numero che anche per chi non è superstizioso, notoriamente non porta nulla di buono. Doveva aspettarselo anche l'allenatore capitolino? Chissà se lui credeva in queste cose.
Colantuono è stato per 6 mesi l'allenatore granata numero 13. Prima di lui si sono alternati svariate volte De Biasi, Zaccheroni, Novellino, Camolese, fino ad arrivare alla svolta, al nome nuovo, all'uomo nuovo che però più di tanto non si è distinto. “La Serie B è difficile. La conosco bene perché l’ho vinta”, quante volte ce lo siamo sentiti dire in conferenza stampa prima di ogni match. Forse anche Cairo dopo averlo sentito ripetere troppe volte, non ci ha creduto più. Colantuono è un allenatore “focoso”, verace da buon romano quale non si è mai dimenticato di essere. E’ un allenatore dalla scorza dura e senza peli sulla lingua, un po’ come lo sono stati De Biasi e lo sfortunato Novellino.

Ora per il patron granata era forse venuto il momento di affidarsi ad una persona dal temperamento più riservato, ma allo stesso tempo serio e determinato. Tutto questo è Beretta, cinquantenne milanese proprio come Cairo, che si dice “affascinato dal Torino da sempre e onorato di poter aiutare nella risalita una squadra gloriosa come quella piemontese”. E’ stato un eroe per la città di Siena. Città dove ha prima toccato il fondo con l’esonero, per poi l’anno successivo essere etichettato da società e tifosi, come l’artefice di un’insperata salvezza. Ora tutto è nelle sue mani. Un anno ancora nella Serie Cadetta non sarebbe digerito con tanta facilità dal popolo granata, che già dopo la retrocessione dello scorso anno, si diceva stufo di questo sali e scendi incomprensibile. Nel suo passato da allenatore Beretta ha già incontrato alcuni dei giocatori che oggi fanno parte della rosa. Coppola e Loria sono stati alle sue dipendenze durante l’annata della storica salvezza al Siena, Gasbarroni invece lo ha incontrato sulla panchina del Varese quasi 10 anni fa.


Nessuna rivoluzione sarà comunque messa in atto tra le fila granata. Il Torino è una squadra dall’enorme potenziale tecnico se si pensa alle enormi doti di Bianchi, richiesto tutt’ora da club importanti, alla duttilità di Gasbarroni e all’esperienza di Di Michele e Sereni. Non c’è niente da cambiare. Bisogna solo aiutarli a superare un momento di apatia generale e a recuperare l’autostima che da sempre li ha contraddistinti. Uno psicologo come allenatore. Un allenatore come amico.