Esclusiva TG - Rolando Bianchi: "Toro, avrei firmato in bianco. Togliermi la maglia granata è stato difficilissimo"
I capelli più lunghi e la barba più folta di quando ha lasciato Torino, ma lo sguardo gentile di Rolando Bianchi è rimasto sempre il medesimo del periodo in cui impregnava di sudore la casacca granata: “Togliermi di dosso quella maglia è stata una delle cose più difficili della mia vita”. Non si fa fatica a credergli: quando parla di Toro si illumina: “Ho sbagliato alcune scelte in carriera, ma non quella di accettare il granata. L’affetto che nutro per tutto l’ambiente è veramente grande. Un’esperienza eccezionale, in cui il duro momento attraversato dalla squadra mi ha permesso di legarmi con maggior forza a questa gloriosa società. Abbiamo vissuto momenti davvero difficili: è bello giocare quando tutto va bene, mentre quando va male, tutto si complica. Chi ha un carattere come il mio, però, si lega ancora di più a tutto l’ambiente, soprattutto ai tifosi”. La cosa è reciproca, come lo stesso attaccante rivela: “Da quando sono tornato in Piemonte vengono tanti tifosi del Toro a vedermi”. Sul passato torneremo più volte, ma il presente è una bella novità che merita di essere raccontata.
Incontriamo Rolando nella sala-stampa dello storico Silvio Piola di Vercelli, stadio dove da un paio di mesi si allena e gioca con un’altra maglia illustre, quella bianca della Pro. Il momento difficile, con alcune settimane a inizio anno da disoccupato, sembra davvero alle spalle. Sette presenze e tre gol in questo scorcio di serie B: “Ho trovato un ambiente molto positivo, mi sono inserito velocemente. Sono tornato a esprimermi subito al meglio e di questo devo ringraziare la dirigenza vercellese e il mister Longo che mi ha messo nelle condizioni di farlo. Mi ritengo un professionista serio che adora lavorare con persone serie: qui ho trovato quello ciò cercavo e sono contento della scelta fatta”.
Dopo gli splendidi anni granata, il girovagare senza fortuna è finalmente alle spalle. Davanti, una ritrovata serenità professionale. Con la sincerità che lo contraddistingue, cerca di spiegare le esperienze negative dopo il Toro: “A Bologna non sono stato bene a livello fisico, infatti a fine stagione ho dovuto subire un’operazione. Ho voluto giocare anche quando non avrei dovuto, perché quando non sei in condizione, devi fermarti e recuperare per bene”. Rolando è onesto, sanguigno, come lo ricordano in terra sabauda. Uno senza peli sulla lingua. Ammette le sue colpe, ma non trattiene una stoccata: “Sbagliai io, per la voglia che avevo di aiutare la squadra, ma anche gli allenatori avrebbero potuto pensare meno al proprio orticello, buttando in pasto ai pescecani i giocatori”. Un’annata brutta quella tra i felsinei, conclusa con la retrocessione. Si torna poi alle scelte non sempre felici: “A Bergamo non sarei dovuto andare per fare la riserva a un giocatore inamovibile come Denis. Sbagliai io, nuovamente. Un attaccante con determinate caratteristiche ha bisogno di sentirsi sempre importante. Giocai poco, forse anche meno di quanto meritassi. Un’esperienza un po’ così…” forse dettata dal cuore, verrebbe da aggiungere, visti i natali bergamaschi del bomber, ma Rolando si ferma lì, con i puntini di sospensione.
Le esperienze estere, invece, sono meno dolorose di quanto si possa pensare: “A Manchester ero molto giovane, ma la Premier League mi ha dato tanto a livello calcistico e, al contrario di quanto scrivevano i giornali qui in Italia, stavo facendo bene: ero il capocannoniere della squadra. Sarei dovuto restare, ma per la voglia di giocarmi le chance in nazionale (era stato preconvocato dal CT azzurro n.d.r.), decisi di tornare in patria. A Maiorca mi ambientai benissimo. Sono andato via a gennaio solo ed esclusivamente per i problemi societari che sono intervenuti”.
Tornando alla parentesi più lunga della carriera di Rolando, quella tra le fila del Toro, come detto, sono stati anni splendidi. E lui ne parla come di “un’esperienza che mi ha fatto crescere tantissimo, sia a livello umano sia calcistico”. Il lieto fine, però, quello che sarebbe stato rappresentato dal rinnovo di un contratto in scadenza, non c’è stato. “Avevo dato la disponibilità a firmare in bianco, non mi importava il fattore economico, ma purtroppo sapevo che il rapporto non sarebbe proseguito in ogni caso: la decisione di non rinnovarmi il contratto era stata presa già due anni prima”. La conclusione quindi era già stata scritta. Una scelta aziendale: seguire un progetto che stava dando risultati e che, allenatore e DS, vedevano sprovvisto di Rolando Bianchi. “Si, il mio rapporto con Petrachi e Ventura non era ottimo, ma non si può stare simpatici a tutti. Comunque, sono cose passate, inutile ritornarci sopra. Con il presidente invece ci sentiamo ancora adesso. Abbiamo un bellissimo rapporto. È un presidente che ha fatto grandi cose per il Toro. Nel mio caso dovette fare una scelta e alla fine si è rivelata anche giusta, visti i buoni risultati portati dall’allenatore”.
Zero rimpianti col Toro. Bianchi sembra davvero aver messo da parte le poche cose negative e tenuto al caldo solo i bei ricordi: “Ho dato tutto quello che avevo per la squadra, fino all’ultimo giorno in granata. Per me la maglia vale più di tutto il resto. Torino era come casa mia”. Nessuno che ha a cuore il Toro può negarlo. I giudizi tecnici sono quanto di più soggettivo esiste nel calcio, non tutti ricorderanno il giocatore allo stesso modo. Riguardo l’impegno e l’affetto per la causa granata elargiti da Bianchi però, la tifoseria si compatta dalla parte dell’ex numero 9.
Con i tifosi è tutt’altra musica, quindi. L’immagine scolpita nella memoria della Maratona è quella di un Bianchi che si batte il pugno sul petto dopo ogni gol. Un amore quasi da suffragio. “So di aver lasciato un bel ricordo non solo a livello calcistico e mi fa davvero un immenso piacere: il calciatore passa, ma rimanere impressi a livello umano vale molto più di tante altre cose”.
24 gol in un campionato non si dimenticano tanto in fretta. “Erano 27, ci tengo al conto delle reti!” Rolly corregge subito, contando anche play off e Coppa Italia. Il punto però era che il giocatore sulla bocca di tutti sta per raggiungere quel traguardo che in pochi prima di Bianchi avevano messo a registro in maglia granata. Da bomber a bomber, un commento su mister 100 milioni non può proprio evitarlo: “Spero che Belotti non solo mi eguagli, ma che riesca a superarmi. È un giocatore che scende in campo col cuore, si vede. Ha una grande voglia di continuare a migliorarsi, di crescere costantemente. Gli auguro il meglio possibile”.
Da un bergamasco all’altro, per i suoi concittadini Rolando ha solo elogi: “Baselli è un altro che merita tantissimo. Lo conosco bene, ha gli attributi giusti per mostrare il suo grande valore. Quando mi disse che c’era la possibilità di andare al Toro non persi tempo a incoraggiarlo. È la piazza che fa per lui”.
La lunga chiacchierata volge al termine, l’allenamento incombe. Se è vero che Bianchi si sente un sedicenne (come il numero di maglia scelto alla Pro Vercelli n.d.r.), l’anagrafe recita trentaquattro primavere. Cosa vuol fare quindi Rolando da grande? “Non lo so ancora”. Ammette con candore. “Ho preso il patentino base per allenare, ma il mestiere del tecnico è molto stressante. Vedo allenatori che in pochi anni invecchiano tantissimo e io voglio mantenermi giovane”. Ride felice, il bomber sembra uno che non ha nessuna intenzione di smettere di segnare. E nemmeno di proseguire per forza con il calcio. “Potrei fare anche altro. Il calcio è una parentesi, bellissima, della vita. Fino ad oggi mi ha occupato 24 ore su 24, sette giorni su sette, ma lascio aperte tutte le possibilità. Magari appenderò le scarpette al chiodo e seguirò una strada del tutto diversa. Sono sempre stato uno di larghe vedute”.
Dovesse vincere la nostalgia del gioco più amato dagli italiani, sarebbe bello rivederlo al Toro. Allenatore, dirigente, magazziniere: quello che preferisce, purché lo riporti, anche solo per un pezzo del cammino, a casa.
Alex Bembi