Bilancio sportivo del Torino: non solo rammarico anche numeri di decrescita
Nove punti in meno rispetto alla passata stagione, quarantacinque a cinquantaquattro, e una discesa dal nono al dodicesimo posto che vuol dire in termini di diritti televisivi un mancato incasso di circa 2,7 milioni di euro, sono già dati significativi per dire che il Torino ha disputato un campionato non positivo. Se poi si aggiungono altri elementi oggettivi si capisce ancora meglio la portata della negatività. Le diciassette partite perse in questo campionato collocano la squadra di Ventura al dodicesimo posto nella particolare classifica per numero di sconfitte accumulate, mentre i nove pareggi pongono il Torino in quest’altra classifica al settimo posto e le dodici vittorie conquistare ancora al dodicesimo, quindi alla fine è in linea con i risultati il posto in graduatoria che è stato ottenuto. Nel 2014-2015 le sconfitte erano state dodici come i pareggi mentre le vittorie quattordici. Per gol segnati, cinquantadue, il Torino può essere considerato una buona squadra perché è la sesta del torneo, ma per reti subite, cinquantacinque, il livello si abbassa e si scivola fino al quattordicesimo posto e non bisogna scordare che la differenza è negativa, effettivamente non molto, ma comunque meno tre. Sempre facendo il paragone con la stagione precedente i granata avevano segnato meno, quarantotto, ma subito anche meno, quarantacinque, e soprattutto la differenza era in positivo con più tre. Passando all’andamento dei risultati di questo campionato non si ha una progressione tendente al positivo perché se sono rimaste invariate il numero delle vittorie fra andata e ritorno, sei, e si è avuto un pareggio in meno, cinque a quattro, le sconfitte sono passate da otto a nove. E, infatti, in termini di punti conquistati il Torino è sceso di uno, ventitré a ventidue. I numeri sono inconfutabili e dicono chiaramente che c’è stata una decrescita e non una crescita.
Qualcuno potrà dire che tutto sommato il Torino non ha fatto un campionato così negativo in quanto non è mai stato coinvolto nella lotta per non retrocedere. Vero. Però questo rischio non era neppure contemplato, quindi è equiparabile a una vittoria di Pirro. L’obiettivo era la parte sinistra della classifica facendo meglio del campionato precedente, ma dopo l’inizio molto promettente, con tredici punti conquistati in sei partite e una media superiore ai due a gara, c’è stato il crollo e l’incapacità a risollevarsi veramente, se non con qualche exploit che creava più illusioni che vera spinta positiva. Un dato su tutti la dice lunga, con il Verona due pareggi e con il Carpi uno, solo con il Frosinone ci sono state due vittorie, ma se su diciotto punti in palio con le squadre che alla fine sono retrocesse ne sono stati conquistati solo la metà vorrà pur dire qualche cosa ed è su questo che la società deve riflettere molto. Non si tratta solo di rammarico il problema è più profondo. Infortuni, errori arbitrali, possono incidere, ma non giustificano un tale andamento.
I giovani hanno bisogno di tempo per crescere e dimostrare tutto il loro valore. Nulla da eccepire, ma fino a che punto si può accettare di perdere punti e posizioni in classifica in attesa di un domani migliore? Non si può scaricare le colpe sui giovani oppure utilizzarli come alibi, anche perché non sono solo loro ad aver creato questa situazione, sono mancati anche i giocatori d’esperienza che non hanno avuto la forza di aiutarli abbastanza andando anche loro in affanno in parecchie situazioni e rendendo meno rispetto agli anni passati. L’allenatore, poi, non ha avuto la capacità di modificare il gioco per cercare di mettere maggiormente a proprio agio tutti gli elementi della rosa e la conseguenza è stata che lo spogliatoio non era più così unito e non tutti i giocatori erano in sintonia con l’allenatore. Ma anche Ventura non può essere il capro espiatorio, la società doveva intervenire di più quando ha visto che si era imboccata una china discendente e che non s’intravedeva una risalita. E forse il numero dei calciatori di prospettiva immessi nella rosa era troppo elevato rispetto ai giocatori di esperienza e soprattutto di qualità, fondamentali per far crescere i giovani conducendoli per mano nella maturazione senza dover lasciare punti per strada. Non per nulla nei momenti di difficoltà non si è visto un vero apporto da parte di qualche giocatore carismatico che desse la scossa a tutti gli altri, com’è avvenuto con Buffon alla Juventus o con Totti alla Roma, tanto per fare due esempi a caso. Il Torino non ha veri leader, o meglio chi incarna in un certo senso questo ruolo è l’allenatore, che però è più un padre-padrone che ha la possibilità, datagli dalla società, di agire come meglio crede prendendo decisioni non negoziabili, quindi o i giocatori si adeguano oppure sono fuori dal progetto. Che il mister abbia il compito di guidare la squadra è innegabile, ma quando i risultati non arrivano, anzi si ha una decrescita e lui e la società non cambiano rotta si finisce per andare indietro come i gamberi e a risentirne sono anche le casse societarie, basti pensare ai milioni in meno che saranno incassati dai diritti televisivi. Con la vendita di uno o più giocatori che hanno mercato e con le relative plusvalenze questo mancato incasso finirà per non essere avvertito, ma fino a quando ci saranno plusvalenze da fare se non si raggiungono anche traguardi di più alto livello? La china discendente è stata imboccata da due stagioni, tre anni fa il settimo posto e l’Europa League, ora la discesa va arrestata prima che si trasformi in un perenne limbo senza particolari dolori, ma senza gioie.