Carlo Nesti a Radio Vaticana – Le piccole società battono cassa – I fischi assurdi di Roma

19.12.2015 15:44 di Marina Beccuti Twitter:    vedi letture
Carlo Nesti a Radio Vaticana – Le piccole società battono cassa – I fischi assurdi di Roma
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E’ vero che le piccole squadre vogliono togliere soldi alle grandi?

 

“Se c’è un minimo comun denominatore, che riguarda le nostre società calcistiche - dice Carlo Nesti, al Direttore della Radio Vaticana Italia Luca Collodi, nella rubrica “Non solo sport” del lunedì, alle 12,35 - è rappresentato dal fatto che, al momento di parlare di cambiamenti necessari, tutti sono d’accordo, ma al momento di attuarli, il “fuggi fuggi” generale è scontato. Esempio: tutti sono d’accordo su una Serie A ridotta da 20 a 18 squadre. Ma ciò non avverrà mai, prima di avere stabilito come ridistribuire i proventi televisivi. In passato, le contrattazioni erano individuali, ogni singola società con la televisione di turno, per cui si era creato un baratro fra la prima e l’ultima: 7 a 1. Chi aveva più tifosi, e cioè più telespettatori potenziali, il cosiddetto “bacino di utenza”, schiacciava gli altri. Poi, con il tempo, si è passati ad una versione più democratica, che ha ridotto le distanze da 4,5 a 1. Ora i club medio-piccoli hanno formato un fronte di 13 unità, perché i risultati sportivi siano più determinanti, rispetto ai bacini di utenza. In pratica, attualmente, la torta è suddivisa così: il 40% in parti uguali, il 30% in base ai risultati sportivi, e il 30% in base ai bacini di utenza. Si vorrebbe aumentare la quota, spettante ai risultati sportivi, di un 10%, sottraendola ai bacini di utenza. Credo che le considerazioni importanti siano 3. La prima è che i soldi non bastano mai, ed è il sistema a dovere cambiare, riducendo quotazioni e stipendi di allenatori e giocatori; la seconda è che ogni rafforzamento dei meno potenti va visto con simpatia; la terza è che, togliendo qualcosa alle grandi italiane, rischia però di aumentare il divario dalle grandi estere. D’altro canto, nella vita, non si può avere tutto”.

 

 

Che senso avere fischiato la Roma, qualificata in Champions League?

 

“Molti hanno parlato di 2 record negativi, stabiliti dalla Roma: qualificata agli ottavi di finale con appena 6 punti all'attivo, e con ben 16 gol incassati. Ma esiste un altro primato negativo, rappresentato dal fatto che 30 mila persone, senza il minimo dubbio, hanno fischiato la Roma al 90’, come se fosse stata eliminata. Chi paga, teoricamente, può fare quello che vuole, in termini verbali o vocali. Ci si domanda, però, se non debba esistere una sorta di etica del tifoso, che significa poi coerenza sentimentale. Finché giochi, visto che tifo per te, ti sostengo, ma, alla fine, sono libero di esprimermi come ritengo opportuno. Questo doveva essere l'atteggiamento dei tifosi della Roma, a fronte di una squadra, che tremava per la tensione. Le motivazioni più generali della contestazione, contro il presidente Pallotta e il Prefetto Gabrielli, al di là del rendimento della formazione, lasciano sgomente le persone sensate. Se si è deciso di dividere le curve, atto detestato dagli ultras, è stato per isolare i violenti, che lo sono non solo fisicamente, ma anche moralmente, dal disprezzo verso la mamma di Ciro Esposito, in poi. D’accordo: un presidente non avrebbe dovuto ricorrere agli insulti per apostrofare i colpevoli, consapevole del suo ruolo, ma ha interpretato il disgusto di tutte le persone pacifiche e moderate. Sapere che la maggioranza silenziosa dei tifosi, presente mercoledì sera all’Olimpico, e non appartenente al mondo ultras, ha solidarizzato con le frange estreme, fa veramente male al cuore. Si preferisce seguire il branco, che pratica il male, piuttosto che scegliere il bene, dinanzi alla propria coscienza”.

 

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