Zago, il figlio del Filadelfia dal sogno alla periferia

La storia di Alvise Zago, incontrato in una tiepida mattinata di Giugno
02.06.2013 13:55 di Matteo Maero   vedi letture
Zago, il figlio del Filadelfia dal sogno alla periferia
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Le mattinate domenicali senza campionati maggiori rischiano di divenire particolarmente noiose se non si hanno altri impegni: sole a picco, pochi impegni e tanto ozio. Tuttavia, per dei "grandi" che si fermano, ci sono dei "piccoli" che si danno ancora battaglia nei più svariati tornei minori. Questa mattina mi sono recato ad assistere ad un torneo di Allievi Provinciali a Villarbasse (TO), per osservare (ed invidiare, visto che io sono da 4 mesi fermo ai box per un serio problema alle ginocchia) alcuni miei colleghi ed amici arbitri. Su di loro nulla da dire, sono bravissimi e si fanno valere in qualsiasi situazione.

Durante la pausa tra la prima e la seconda partita, mentre parlavo piacevolmente con i dirigenti della squadra di casa, la mia attenzione è colta da ciò che pronuncia un signore li vicino: "Ciao Alvise!". Sicché non è un nome particolarmente diffuso, mi giunge istintivo pensare che si potesse riferire ad una sola persona. 

Correva l'anno 1988. Luigi Radice fa aggregare in prima squadra un giovanotto di 19 anni di Rivoli, cittadina della prima cintura Torinese. È cresciuto bene, è il tipico "ragazzo del Filadelfia" e l'allenatore dell'ultimo scudetto sa benissimo che il futuro è lui. Il suo ruolo naturale è quello della seconda punta ed è destino che sulle spalle porti il numero 10, che nel Toro significa che hai sul groppone l'eredità di Valentino Mazzola, Gianbattista Moschino e Claudio Sala, tre nomi che da soli rendono l'idea di quale onere porti una semplice cifra. Il "giuinot" non delude e gioca 16 delle 17 partite del girone di andata, segnando anche due gol. La Maratona ha conosciuto il suo nuovo idolo.

Poi, a Marassi contro la lanciata Samp, accade il dramma: saltando, il giovane si scontra con Victor Munoz. Lo scontro aereo è fatale per entrambe, ma sul momento sembra che lo spagnolo abbia la peggio: commozione celebrale! Per il numero 10 parrebbe "solo" uno stiramento muscolare. Entrambi sono costretti all'uscita. Tuttavia, già il lunedì è chiaro quale sorte sia toccata al granata, che tecnicamente coincide con la Rottura dei legamenti e della capsula articolare del ginocchio destro. La prognosi e di quelle infauste: 1 anno e mezzo di stop. Il ragazzo, a soli 19 anni, è colpito dal peggior infortunio in cui può incorrere un calciatore. Il recupero è affidato alla cadetteria: nel 1990 viene mandato in prestito al Pescara e l'anno succesivo al Pisa. Nel 1992 torna a Torino, ma Mondonico capisce di non avere a che fare con il gioellino di Gigi Radice e da subito lo mette ai margini. A giugno 1993 diventa chiaro che il brillante talento del Fila ormai non c'è più. A 24 anni, incomincia un peregrinare che durerà per i successivi 11 anni e terminerà a casa propria, con quel Rivoli lanciatissimo in Serie D.

Eravamo rimasti ad un saluto, che poteva significare tutto e niente, se non fosse per quel nome. Una pacca sulla spalla e una semplice richiesta: "Sei Alvise Zago?". È proprio lui. Davanti a me c'è il talento più cristallino ma meno espresso dell'era Filadelfia, roba che Vatta a pensarci potrebbe mangiarsi le mani. Ci presentiamo ed è inevitabile e anche istintivo dirgli "Sei stato veramente sfortunato". Lui sospira e sa benissimo di esserlo stato. Amabilmente parliamo del più e del meno, afferma di non avere nessun contatto con il Torino attuale e pochi con il "suo": ogni tanto Lentini, qualche volta Fuser e poco altro. Ora è felicemente allenatore nel settore giovanile del Villarbasse, dove sa di poter dare una mano importante grazie all'esperienza accumulata negli anni. Mi chiede anche cosa faccia io e pretende che gli dia del tu. Fantastico, da tifoso e giornalista non posso chiedere di meglio. 

Ciò che colpisce di Zago è il fatto che sembra non avere rimpianti. La sua carriera avrebbe potuto portarlo ai vertici del calcio mondiale, lo sa benissimo. Tuttavia, sa anche che sarebbe insensato rimanere a piangersi addosso per il resto della propria vita, un po' perché ne abbiamo solo una e, nel suo caso, perché la passione non si è mai "infortunata". In nome del buon calcio, con grinta e voglia contribuisce alla crescita di una piccola società e dei suoi piccoli associati, allo stesso modo di come contribuiva a "spingere" il Toro in avanti durante quei quattro mesi da sogno, sebbene lui non faccia altro che "riflettere" ciò che hanno fatto con lui in quel leggendario impianto di Via Filadelfia. Ma quella è una altra dolorosa storia di cui Alvise Zago ne è migliore testimone e erede.