Gianfelice Facchetti: “Nel Museo del Toro ho trovato quanto di granata c'è stato nella mia e nella nostra storia”

All’inaugurazione della mostra dedicata al padre dal Museo del Torino il figlio di Facchetti ha raccontato anche con aneddoti il rapporto della sua famiglia con il granata.
23.11.2019 09:00 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Elena Rossin
Gianfelice Facchetti
Gianfelice Facchetti
© foto di Elena Rossin

Ieri sera al Museo del Toro è stata inaugurata la mostra temporanea “Ora sei una stella” dedicata a Giacinto Facchetti, indimenticato grande calciatore dell’Inter e della Nazionale. Mostra che  rientra nella mission del Museo di omaggiare i giocatori non granata che hanno scritto pagine memorabili del calcio italiano e mondiale e di far comprendere a tutti i tifosi come lo sport affratelli e non divida o crei odio e violenza. All’inaugurazione alla presenza di tifosi granata e interisti in rappresentanza della famiglia Fachetti c’era il figlio, Gianfelice, che ha tenuto un beve discorso.

“Grazie. Ho pensato – ha detto Gianfelice Facchetti - spesso e volentieri in questi tredici anni da quando papà è mancato che ricordare, che fare memoria fosse un lavoro collettivo, anche quando tocca soltanto la propria persona. Ricordare qualcuno o qualche cosa alla quale si tiene come per esempio la storia che racchiude il Museo del Toro è un po’ come correre la staffetta dove uno porta un pezzo per un tratto e poi si ferma e può riposare, ma c’è un altro che prosegue portando un altro pezzo. Ecco credo che questa sera (ieri sera per chi legge, ndr) questa cosa che ho sempre sentito sia più che mai incarnata davanti ai miei occhi. Penso a chi è qui, all’idea che questo Museo - voluto, costruito e curato quotidianamente con pazienza, con meticolosità, con dedizione e con molta conoscenza, come ho potuto vedere  prima quando l’ho visitato tutto - che raccoglie la storia del Toro decida a un certo punto di aprire le porte e trovare uno spazio per racchiudere un pezzo della memoria di tuo padre è sicuramente la testimonianza che fare memoria sia proprio fare staffetta e, quindi, ringrazio Domenico Beccaria, Giampaolo Muliari e chi in qualche modo rientra in questo quadro nel quale siamo dentro tutti”.

Ha poi proseguito raccontando di quanto il granata abbia fatto parte della sue vita e di quella del padre anche se non è mai stato un giocatore del Torino: “Quello che è molto bello per me, avendo passato qualche ora in questo spazio, è trovare quanto di granata c'è stato nella mia e nella nostra storia. Per quanto io sia fortissimamente, visceralmente interista, però, c'è qualcosa di granata che ho sempre sentito dentro: innanzitutto la prima maglia da calciatore indossata e la prima maglia non si scorda mai perché in qualche modo ti dà un posto nel mondo. E la mia prima maglia era granata perché il Cassano d’Adda ha la maglia di questo colore. E da portiere ho sempre guardato la maglia del portiere del Toro che era identica alla nostra. E queste maglie le ho riviste qui al Museo quella gialla con il bordino granata, quella grigia sempre col bordino granata, quella verde e anche quella nera”.

E non sono mancati i ricordi di Gianfelice con il padre Giacinto, ricordi che sono legati al Torino: “Quando ero piccolo giocavo con papà che calciava la palla per insegnarmi a tuffarmi e mi chiamava Bacigalupo come il portiere del Grande Torino. Tutto questo è un sottofondo nel quale sono cresciuto e dentro il quale ogni tanto poi mi ritrovo. Ci sono gli aspetti belli e poetici del pallone di cui mi sono innamorato e che mi fanno venir ancora voglia di vedere una partita, ma ci sono anche aspetti tragici che la storia del Toro racconta. Da ragazzino degli Esordienti mi ispiravo al portiere degli Allievi che tragicamente in un incidente in moto a sedici anni è mancato. E questa commistione di tragedia e di passione è una cosa che ho sentito legata ai colori della prima maglia perché vedevo il portiere degli Allievi in fotografia con al maglia gialla con il bordino granata. E nel tempo questa cosa è ritornata. Dopo la scomparsa di papà facendo ordine fra le sue cose è saltata fuori dalle pagine di un libro la foto autografata di Virgilio Maroso con la tuta dell’Italia. Quella è l’unica foto di un calciatore conservata da mio papà, ed era quella di un terzino sinistro (stesso ruolo nel quale giocata Giacinto Facchetti, ndr). Tutto questo ti plasma, tutto questo ti forma e poi una sera magicamente ti ritrovi alle porte di Torino con una serie di persone, non le conosco tutte ma ovviamente stringo la mano e braccio ciascuno di voi, che hanno scelto di ricordare mio papà. Credo che sia giusto per questo dire grazie, un grazie che viene dal cuore. Con uno spettacolo (Gianfelice è un attore e nel film sul Grande Torino ha interpretato Bacigalupo, un drammaturgo e un regista teatrale, ndr) si cerca di raccontare il pallone, o con un film o anche un libro o scrivendo un articolo e si gira intorno a quest’idea altrimenti ci si stancherebbe a scrivere tutti i giorni articoli o a fare testi sul calcio se non si trovasse dentro di sé un motivo per capirci qualche cosa di più. Ecco questo è un momento nel quale ho capito che cosa è tutto questo. Voi mi avete raccontato una serie di piccoli aneddoti e l’idea di pallone che ho respirato è qui. C’è la poesia di Giovanni Arpino, che è stato il mio padrino di battesimo, e che ha appunto scritto, anche se forse era juventino, la più bella poesia esistente sul Grande Torino. L’idea di calcio che io ho ereditato e che oggi faccio fatica a vedere ha due aspetti: da un lato che il protagonista (il calciatore, ndr) potesse parlare e raccontarsi a chi lo avrebbe raccontato facendolo per mestiere (ai giornalisti, ndr)  abbattendo la distanza che c’è oggi. E dall’altro lato abbattere la distanza fra io che gioco in campo e il tifoso che tutte le domeniche si fa 500-600 chilometri e che fa l'abbonamento o quello che compra l’abbonamento alle televisioni a pagamento in modo che a un certo punto ci si sieda uno accanto all’altro e si parli normalmente. Mio padre non volle celebrare l’addio al calcio giocato, una volta si dava un mazzo di fiori e poi il giocatore usciva. Ecco è questa sensazione avuta da papà di aver ricevuto tanto e forse l’unico modo restituire qualche cosa è quello di presentarsi davanti agli altri una volta ogni tanto. Io non sono Giacinto, però, cerco in qualche modo di restituire quello che papà a ricevuto e, quindi, vi dico grazie, un grazie che sicuramente con il cuore vi direbbe papà”.

Infine Gianfelice ha raccontato un simpatico aneddoto riguardante suo figlio: “Senza bisogno di dare dritte i figli respirano la stessa aria dei genitori e con la loro leggerezza dicono che hanno capito che cosa i grandi hanno in mente: dopo l’ultima finale di Champions League persa dalla Juve mio figlio si è presentato non con il completino dell’Inter, ma con quello del Toro. Una goliardata, ma anche i figli che vedono vincere sempre gli stessi è bello che prendano la parte non della propria bandiera, ma di quella più grande di qualcun altro”.

La mostra “Ora sei una stella” dedicata a Giacinto Facchetti sarà visibile negli orari di apertura del museo, il sabato dalle 14 alle 19 e la domenica dalle 10 alle 19, fino a domenica 1 marzo 2020  nella sala della Memoria del Museo del Toro che si trova a villa Claretta Assandri in via G.B. La Salle 87 a Grugliasco, comune in provincia di Torino. Sono possibili visite fuori orario di apertura dal lunedì al venerdì, ma solo su prenotazione. Per motivi di sicurezza si possono effettuare solo visite guidate. Per informazioni si può inviare una mail a: info@museodeltoro.it oppure telefonare dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18 al numero 333/98.59.488.