Torino, contestare o dare fiducia: questo è il dilemma!
Che cosa può fare il tifoso se la sua squadra è al terzo anno consecutivo di serie B ed è diventata la terza realtà della propria regione dopo 105 anni di storia con sette scudetti vinti più uno revocato - per un episodio che alla luce di ciò che accade oggi nel calcio fa sorridere e tutt’al più sarebbe considerato un peccatuccio veniale -, cinque Coppa Italia conquistate e mettiamoci pure una Mitropa Cup all’attivo, senza scordare otto campionati e sette Coppa Italia Primavera e sei Tornei di Viareggio vinti? Essere triste e deluso è il minimo. Il tifoso del Toro non ha mai chiesto la luna né alla società né ai giocatori, ma coerenza, una seria programmazione del lavoro e dedizione, sì. Promettergli cose che non si possono mantenere è il peggior errore che si possa fare. Inganni e delusioni il granata Doc ne ha già subite troppe e non è più disposto a porgere l’altra guancia, lo ha già fatto troppe volte.
Il tifoso del Toro è un passionale e quello che fa, nel bene e nel male, è sempre un modo, magari personalissimo, di esprimere il proprio amore. Che poi all’interno del vasto gruppo dei tifosi ve ne sia una parte che affronta i problemi con particolare durezza sta nell’ordine naturale delle cose. Certo che partire prevenuti nei confronti di chi è appena arrivato non è corretto, nessuno può essere “incolpato” per episodi che sono avvenuti quando non c’era, essere messo sotto esame prima ancora di cominciare o essere giudicato se non si scaglia pubblicamente contro il proprio datore di lavoro, perché quest’ultimo non fornisce gli strumenti che aveva concordato o promesso.
Lavorare con tranquillità senza l’assillo che al primo piccolissimo errore si viene accusati di essere inadeguati o poco dediti alla causa è la sicura premessa che gli obiettivi prefissati difficilmente saranno raggiunti. Ognuno deve fare la sua parte ed essere giudicato per i compiti che gli competono, non per altro. Anche i tempi, i modi e i luoghi del dissenso, da esprimersi sempre bandendo qualsiasi forma di violenza, devono essere scelti accuratamente e non coinvolgere chi non centra nulla. Se i tifosi hanno qualche rimostranza da fare nei confronti della proprietà, vivendo in un paese libero e democratico, lo facciano direttamente con il presidente o i dirigenti, ricordando però che i dirigenti sono pur sempre dei dipendenti e non possono andare oltre i compiti che vengono loro assegnati e men che meno disporre a proprio piacimento del budget o dimettersi, rinunciando al proprio lavoro e allo stipendio (chi mai lo farebbe), solo perché viene loro chiesto come dimostrazione di buona fede e di presa di distanza da chi ha realmente le redini del comando.
Che nessuna persona sulla faccia della terra sia obbligata a essere proprietaria di una squadra di calcio è indubbio e se lo è deve agire al meglio delle sue capacità e possibilità senza promettere ciò che non può o vuole mantenere. Ma è altrettanto vero che nel calcio, come in tutti i settori, i conti societari devono essere tenuti in ordine, previo rischio di penalizzazioni in classifica che vanificano quanto legittimamente conquistato sul campo, che gli stipendi di tutti i dipendenti devono essere pagati alla scadenza come le relative tasse e che per una propria attività si è liberi di stanziare il budget che si ritiene opportuno, anche se per altre attività si stanziano più soldi o se in banca se ne hanno ancora, che non si può vendere una proprietà se non c’è qualcuno disposto a comprarla. E’ anche vero che se si dice di voler vendere non si può poi chiedere cifre fuori mercato che inducono i potenziali compratori a scappar via a gambe levate. Chi fa l’imprenditore è libero di strutturare come meglio crede la propria azienda e fornirla o meno di strutture adeguate. Se si fanno promesse in tal senso è ovvio che, prima o poi, se non si mantengono si venga additati come incoerenti e si perda credibilità.
La nuova stagione granata è cominciata ieri. L’allenatore con lo staff e i giocatori devono imparare a conoscersi reciprocamente e lo faranno durante il ritiro e sarà il campo a dire chi di loro è da Toro o meno. Tutti dovranno impegnarsi al massimo, ma hanno il diritto di lavorare in un clima sereno. I tifosi applaudono o fischiano e la squadra prima di sentirsi esaltata o sotto accusa rifletta se è oggetto diretto di affetto o di contestazione. Lealtà e sincerità reciproca frutto di un rapporto corretto e diretto portano senza dubbio a dare il massimo e a iniziare a percorrere la strada che porta all’obiettivo, di ostacoli sul cammino se ne incontrano sempre, superarli sta al singolo aiutato però dalla collettività.