La consapevolezza di essere il Toro

Una mentalità diversa in campo e sugli spalti unita all'impegno costante dei giocatori è la ricetta di Ventura per riportare il Torino in serie A. Lo scetticismo di alcuni che al primo passo falso il sogno finisca deve essere bandito.
26.09.2011 10:31 di  Elena Rossin   vedi letture
La consapevolezza di essere il Toro
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Sei partite, primo posto in classifica, quattro vittorie e due pareggi, otto gol fatti, due subiti e ventitre giocatori utilizzati sono i dati che caratterizzano questo inizio di stagione del Torino. Dati che indicano chiaramente che si è in presenza di una squadra che ha posto le basi per disputare un campionato di vertice. Ora di settimana in settimana dovranno arrivare le conferme che le basi sono solide e che si può costruire il ritorno in serie A. Nessuno sano di mente non può non mettere in conto che prima o poi una battuta d'arresto arriverà, ma non dovrà essere considerata l'inizio della fine del sogno. Perché il Torino non sta vivendo un sogno, ma la realtà.

 

Mister Ventura prima di tutti è stato colui che ha puntato fin dall'inizio sull'impostare una mentalità diversa e giorno dopo giorno la ha inculcata, e continua a farlo, nelle menti dei giocatori e anche dei tifosi. Essere consapevoli dei propri mezzi e ritrovare l'orgoglio dell'appartenenza che fa dire: al calciatore "Io sono un giocatore del Toro" e al tifoso "Io tifo Toro" sono i capisaldi che devono accomunare tutti. Quest'aspetto non è da sottovalutare perché deriva da ciò che avviene in campo, che a sua volta è la naturale conseguenza dei quotidiani allenamenti. Non è un caso che ad Ascoli, a Vicenza e a Nocera il Torino abbia vinto e che in casa il Varese sia stato battuto e il Cittadella e il Brescia non siano andati oltre al pareggio. Con l'organizzazione e il lavoro questi risultati del Torino sono obiettivamente gli unici possibili.

 

Consapevolezza non vuol dire presumere di essere i migliori e pensare di riuscire a raggiungere con facilità l'obiettivo, anzi. Vuol dire applicazione costante per apprendere cosa fare in ogni frangente, vuol dire conoscere i propri pregi e difetti, vuol dire studiare l'avversario, vuol dire rispettare tutti senza sentirsi inferiore a nessuno, vuol dire sacrificarsi e lottare fino all'ultimo, vuol dire aver fiducia nel lavoro che si svolge. Questa consapevolezza però deve albergare in tutto l'ambiente granata, perché finora il Torino, inteso come squadra, bottino pieno lo ha fatto in trasferta, un ulteriore passo in avanti deve essere compiuto anche fra le mura amiche. L'Olimpico deve diventare il luogo che incute timore reverenziale agli avversari e rende ancora più forti i propri giocatori che non devono mai pensare che commettere un errore vuol dire essere messi in discussione. In fin dei conti da sempre i tifosi granata sostengono la squadra purché in campo si veda la volontà di fare risultato, poi se anche non si riesce perché l'avversario è più forte non è motivo di mugugno, ma di applauso per i propri beniamini che hanno venduta cara la pelle.

 

Tutti devono ritrovare il piacere che dà la consapevolezza di essere del Toro, anche quel tifoso che bruciato da anni di mediocrità commentando l'inizio di campionato della sua squadra con apprensione a un amico dice: "Ora siamo primi, ma tanto poi se la Sampdoria ci batte tutto finisce". No caro fratello di fede granata, se anche la Sampdoria venerdì sera dovesse batterci, ed è ancora da vedere se ci riuscirà, vorrà dire che già a iniziare dalla successiva partita in casa con il Grosseto i calciatori granata giocheranno come hanno dimostrato di saper fare nelle prime sei gare impegnandosi al massimo per accaparrarsi i tre punti e i tifosi li sosterranno dall'inizio alla fine della partita: tutti consapevoli e convinti di essere il Toro.