Cos'è mai questa depressione collettiva post derby? Da rivedere le strategie societarie

Bisogna prendere esempio da Rino Gattuso che ha rivoltato e portato alla vittoria il Milan.
26.02.2018 18:24 di  Marina Beccuti  Twitter:    vedi letture
Cos'è mai questa depressione collettiva post derby? Da rivedere le strategie societarie
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Non si capisce perchè, dopo sette partite di Mazzarri sulla panchina granata, si è tornati al peggior periodo di Mihajlovic. Una depressione serpeggiante, chiamiamola anche svogliatezza, un metodo per scansare le difficoltà e non alzare la forza di volontà, per giocare semplicemente a calcio. Perchè ad una squadra di calcio si chiede entusiasmo, voglia di stupire, di segnare gol e magari non prenderne, ma soprattutto giocare a calcio e divertire. Ci vorrebbero giocatori e allenatori alla Gattuso.

Già proprio Ringhio, in campo prima e in panchina ora. Come ti ha trasformato il Milan, da una squadra di depressi durante il periodo di Montella, ad un gruppo che sa esaltarsi in ogni partita. Mica ha fatto grandi esperienze prima di sedersi su una panchina così prestigiosa, ha assaporato le difficoltà di un Pisa in fallimento e poi è tornato ad allenare la Primavera rossonera. Con modestia. Ma quando l'hanno chiamato in prima squadra l'ha rivoltata. E' stato bello vedere tutta la panchina aspettare e festeggiare la vittoria di Roma insieme ai compagni scesi in campo. E' stato bello vedere Gattuso baciare ogni giocatore che sostituiva. Si è capito che ha creato un gruppo che sta bene insieme, che si aiuta, che ha entusiasmo. Giocando con alcuni suoi giovani come Cutrone e Calabria, che hanno pure segnato all'Olimpico. E si chiama Milan, un grande club dal passato storico e vincente, dal presente importante.

Al Torino i giovani del vivaio giocano con il contagocce e allenatori come Nicola o Longo sono ritenuti inesperti per sedersi su una panchina così storica e prestigiosa. Chi la pensa in questo modo ha un po' di puzzetta sotto il naso. Perchè nel calcio vince anche chi osa di più e trova magari qualcosa di diverso rispetto alla noia del calcio italiano. Bisogna prendere solo gente esperta è il pensiero comune. Per poi fare il solito campionato anonimo, dopo i soliti proclami di inizio stagione. I giocatori parlano, il presidente parla e l'allenatore di conseguenza si adegua. Ma le parole non sono mai seguite dai fatti. Amorfi in campo, come se l'entusiasmo si spegnesse con un clic premuto da forze soprannaturali.

Gli allenatori cambiano, adesso tutti a dire che era meglio Miha, che aveva fatto 12 punti rispetto agli 11 di Mazzarri dopo sette partite. Numeri e basta. Parole e basta. Tutto può ancora succedere, ma l'entusiasmo iniziale per Mazzarri è già entrato negli annali storici e ha appena cominciato la sua avventura in granata. Probabilmente non è il mister il problema, non sono nemmeno i giocatori, se mai è una dirigenza che non sa gestire nè i momenti di euforia e nemmeno quelli di debolezza. Manca qualcuno che dia la scossa, che parli ai giocatori, che unisca il gruppo e lo renda unico.

Non è vero che era la squadra più forte degli ultimi trent'anni, si può dire tutto quello che vuoi a inizio campionato per imbonire i tifosi, fare qualche abbonamento in più, magari crederci davvero. Ma questa è una squadra costruita per fare un campionato dignitoso ma nulla più.

Nel calcio non si bara, perchè alla fine la realtà di una forza emerge, nel bene come nel male. Questo è un Toro ormai troppo statico in un gruppo dirigenziale solido, ma che ormai ha dato tutto quello che poteva dare. A fine stagione c'è da porsi qualche domanda e darsi qualche risposta, per poi procedere ai fatti. Una dirigenza più innovativa, meno conservativa, un gruppo meno chiuso e più aperto all'esterno. Essere un grande imprenditore non significa essere un grande presidente di calcio. E al momento Cairo il salto di qualità con il Toro non l'ha fatto. Se vuole rimanere deve cambiare metodo, iniziare a comprare giocatori alla Niang, N'Koulou, Falque, Belotti. Che significa tenere questi e aggiungerne altri. Campioni, non solo sulla carta, gente tosta, di carattere, che sappia imporsi dentro e fuori dal campo. Che incanti quando gioca, che tratti la palla con quella carezza che soltanto i fuoriclasse hanno. Adesso è ora di cambiare registro. Vogliamo un calcio champagne, è anche giusto pretenderlo.