Settant’anni fa il Fato li vinse, ma il Grande Torino è soltanto in trasferta

Ricorre oggi la tragedia di Superga sciagura aerea dove perì il Grande Torino.
04.05.2019 09:00 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Elena Rossin
Settant’anni fa il Fato li vinse, ma il Grande Torino è soltanto in trasferta
© foto di Museo del Toro

Il 4 maggio è il giorno del ricordo di una squadra che divenne leggenda: il Grande Torino. Squadra composta da campioni di livello assoluto quali erano quelli che indossavano la maglia granata e della Nazionale che con le loro vittorie hanno contribuito a ridare lustro all’Italia, che era uscita sconfitta dalla seconda Guerra Mondiale e che stava cercando con grande fatica di tornare alla normalità per andare verso un futuro migliore.      

Bacigalupo, Aldo Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola e anche Martelli, Tomà, Gandolfi, Dino Ballarin, Bongiorni, Fadini, Grava, Operto e Subert erano i calciatori del Grande Torino, come lo erano stati prima della stagione ‘48-‘49 Bodoira, Piacentini, Ferrini, Baldi, Ellena, Ferraris II, che nel ‘42-‘43 contribuirono a conquistare il primo dei cinque scudetti consecutivi e alcuni di loro anche i successivi. Avendo a disposizione questi campioni gli allenatori Kuttik, Janni, Ferrero, Sperone, Egri Erbstein e Lievesley cambiarono il calcio passando dal metodo al sistema.

Il Fato decise, però, di portarli via quel 4 maggio 1949. “Forse era troppo meravigliosa questa squadra perché invecchiasse; forse il destino voleva arrestarla nel culmine della sua bellezza” scrisse Carlo Bergoglio, noto con lo pseudonimo di Carlin giornalista, scrittore e disegnatore. In quel giorno di pioggia, titolo delle canzone della band dei Sesnounico, grigio e tetro l’aereo che li riportava a casa, di ritorno dall’amichevole in Portogallo con il Benfica, si schiantò contro il terrapieno della Basilica di Superga  alle 17:03. Oltre ai giocatori perirono anche gli allenatori Egri Erbstein e Lievesley, i dirigenti Civalleri, Agnisetta, Bonaiuti, il massaggiatore Cortina, i giornalisti al seguito Caslbore fondatore di Tuttosport, Cavallero e Tosatti giornalisti del La Stampa e della Gazzetta del Popolo e i membri dell’equipaggio dell’aereo Meroni, Bianciardi, Pangrazzi e D’Inca. Di quel gruppo di giocatori che da allora diventò gli “Invincibili” sopravvissero solo i giocatori Tomà, deceduto dieci il aprile 2018, che non partì perché infortunato e Gandolfi, scomparso il trenta aprile del 2011, che per decisione del presidente Novo lasciò il posto a Dino Ballarin su richiesta del fratello Aldo.

A chi li aveva conosciuti e a chi è venuto dopo di loro è rimasto il compito di mantenere vivo il tremendismo da loro incarnato, la voglia e la capacità di vincere, la volontà di saper affrontare qualsiasi avversario in campo. In questi settant’anni solo in qualche periodo altri giocatori, allenatori e dirigenti sono riusciti ad avvicinarsi a quanto avevano fatto loro, ma è comunque rimasto soprattutto nei tifosi lo spirito del Grande Torino e la volontà di trasmetterlo alle generazioni future perché, come scrisse Indro Montanelli, gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto «in trasferta».