Quattro mesi per impostare il Toro che verrà
Stando comunque con i piedi ben ancorati a terra si può dire che la stagione del Torino è incanalata nella giusta direzione e che l’obiettivo di una tranquilla salvezza è prossimo e sono Ventura e i giocatori che adesso devono raggiungerlo, ormai tutto è nelle loro mani. Oltre a questo il Torino, inteso come società, ha un compito da assolvere che per certi versi è ancora più importante: programmare il futuro. Per farlo deve esserci assoluta comunione d’intenti fra Cairo, Comi, Petrachi e Ventura non solo nelle idee, ma anche nel modo di realizzarle. Il compito che attende la dirigenza granata è complesso e delicato: far sì che il Torino si assesti in serie A vuol dire spostare l’asticella da una tranquilla salvezza al posizionarsi stabilmente a metà classifica, traguardi più ambiziosi sarebbero anche auspicabili, però è meglio andare per gradi onde evitare di muoversi come i gamberi facendo un passo in avanti e due indietro.
Tutti sanno che nel calcio le basi per il futuro le si pongono con mesi di anticipo sulla stagione successiva, quindi le linee guida devono essere individuate in questi giorni. Nell’ultima sessione di calciomercato il Torino ha imboccato con maggiore decisione la via del puntare sui giovani: scovare talenti e farli crescere prima all’interno della società e poi, se ritenuti validi, mandarli a farsi le ossa altrove oppure se risultano già adeguati alla serie A tenerli e inserirli gradualmente. Strategia perfetta per coniugare budget ragionevoli con risultati alla portata. Per posizionarsi stabilmente in serie A però non basta puntare sui giovani, bisogna anche avere un gruppo di giocatori esperti che costituiscano l’ossatura della squadra e che diano garanzie di continuità di rendimento. Nell’attuale rosa calciatori con queste caratteristiche ce ne sono, ma per avere più possibilità di disputare campionati dove il posizionamento in classifica si basa più sulle proprie forze che sul livello generale delle squadre bisogna aggiungere qualche elemento d’esperienza, in attesa che i giovani emergenti si rivelino di valore e se così non fosse comunque la squadra non correrebbe il rischio di ritrovarsi scoperta in certi ruoli.
Programmare il futuro significa prima di tutto decidere se Ogbonna e Bianchi, per motivi completamente differenti, saranno ancora giocatori del Torino. Il difensore centrale è il giocatore di maggior talento e valore della rosa e ha molti estimatori in Italia e all’estero. D’istinto verrebbe da dire che privarsene sarebbe una follia, ma non si può scordare che una società che ha un budget normale e che vuole posizionare la squadra a metà classifica non può trattenere all’infinito un giocatore di grande talento. Con quanto si può ricavare dalla cessione di Ogbonna si possono prendere quei giocatori d’esperienza che servono per completare l’ossatura della squadra e si avanzerebbero ancora dei soldi. E’ impensabile quindi che si arrivi all’apertura del mercato estivo senza che si sia già deciso se cedere o meno Ogbonna, innescando di conseguenza per tutta l’estate il tormentone “va o resta”. L’assenza di una decisione in tal senso condizionerebbe pesantemente tutte le strategie del prossimo mercato granata, dimostrando che la società non ha ancora acquisito la giusta mentalità per occupare un posto stabile nel calcio che conta. La difesa del Torino è indubbiamente il reparto più solido e ha tra titolari e riserve giocatori adeguati per una squadra di metà classifica. Se fosse ceduto Ogbonna non ci sarebbe bisogno di rivoluzionare tutto il reparto per sostituirlo perché Rodriguez ha dimostrato che in assenza di Angelo non lo fa rimpiangere e se venissero risolte in favore del Torino le comproprietà con il Palermo di Darmian e Glik il reparto sarebbe quasi al completo. A parte decidere se il vice Gillet dovrà essere il neo acquisto Coppola o se Lys Gomis, spedito ad Ascoli per accumulare esperienza, è il portiere da far tornare o se è meglio trovare un terzo giocatore, il resto del reparto praticamente ci sarebbe e servirebbero solo delle riserve: quella di Rodriguez e un terzino sinistro, se non si volesse tenere Caceres.
Discorso completamente differente per Bianchi il cui contratto scade a giugno e potrebbe accordarsi con qualsiasi squadra in qualunque momento se non lo’ha già fatto, visto che fino a oggi con il Torino non ha rinnovato. Da quando Ventura è l’allenatore granata il capitano non è stato più il bomber della squadra perché le sue caratteristiche tecniche non sono quelle più idonee al gioco del mister e per quanto Bianchi si sforzi e s’impegni a adeguarsi non c’è assoluta e totale compatibilità, così il giocatore non segna più come un tempo e quando lui è in campo la manovra offensiva non si sviluppa come vorrebbe il tecnico. Prova ne è che da quando è arrivato Barreto la coppia di attaccanti titolari sia quella formata dal brasiliano e da Meggiorini. La decisione di tenere o meno Bianchi quindi non può essere procrastinata e nell’economia del gioco di Ventura il capitano potrebbe rappresentare una riserva di lusso, ma è giusto che Bianchi accetti un ruolo marginale? L’attaccante compirà trent’anni il quindici febbraio e non è un giocatore a fine carriera che quindi può fare da chioccia ai giovani emergenti o la riserva a compagni che hanno caratteristiche tecniche in sintonia con quanto chiede il mister, la sensazione è che per il bene di tutti l’addio nei fatti sia già scritto.
Risolte le questioni Ogbonna e Bianchi, la società potrà impostare il futuro senza indugi purché a partire da Cairo tutti siano convinti di affidare a Ventura la definitiva rinascita del Toro, la convinzione però non va espressa a parole, ma con i fatti comprandogli i giocatori che chiede (il mister non ha mai fatto richieste non in linea con le possibilità della società) e mandando via quelli che lui non ritiene funzionali, oltre a fornirgli la rosa praticamente al completo per il primo giorno del ritiro estivo.
I tentennamenti, gli indugi, il limitarsi a fare il minimo sperando che le cose vadano per il meglio non assesta la squadra a metà classifica, al massimo, se il valore del campionato è al ribasso, permette di raggiungere la salvezza e vivacchiare. C’è una grande differenza fra il vivacchiare e il vivere e il Toro e i suoi tifosi meritano la pienezza della vita e non la grigia sopravvivenza.