PETRINI, Il mondo del calcio ha nascosto l'abuso dei farmaci
«Muoiono un sacco di giocatori e nessuno va a vedere i prodotti propinati» «Quando sento Cannavaro, Buffon, Ferrara preoccuparsi... Bene, dico, è toccato a loro adesso. Non si erano preoccupati di quello che era successo a quelli della mia generazione. Il mondo del calcio l’ha sempre tenuto nascosto. Nonostante i molti morti, eravamo in pochi a parlarne. Il calcio non voleva. Ora cominciano ad averla loro la paura...».
Carlo Petrini non è cinico. Le immagini tv di Stefano Borgonovo malato di Sla, la terribile sclerosi laterale amiotrofica conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig, hanno scosso pure lui. Ma l’ex centravanti di Milan, Roma e Torino, la cui autobiografia «Nel fango del dio pallone» è diventata da tempo un cult letterario al punto da ispirarne anche un film documentario («Centravanti nato»: premiato alla selezione Donatello 2008), è convinto di assistere a una storia già vista.
«Sono convinto che nessuno, finita la bufera, ne parlerà più. Anzi, si cercherà di non spaventare quelli che stanno giocando adesso», dice il Grande Pentito del calcio italiano, 67 anni, senese di Monticciano (ironia della sorte: stesso paese di Luciano Moggi), primo pallonaro a mettere in piazza i panni sporchi dello sport più amato dagli italiani.
Uno molto ben informato, oltretutto. Perché Petrini, di Sla e tumori vari, aveva già parlato nel 2003 in uno dei suoi libri-inchiesta, i «Pallonari», successivi all’uscita del «Fango». «Si raccontava quel che è capitato a quelli della mia generazione. Borgonovo è della generazione dopo», ricorda. Non si fida neppure di Raffaele Guariniello, il magistrato torinese che da tempo indaga sull’esistenza di legami tra calcio, Sla o le altre malattie degenerative.
«I calciatori professionisti - dice Guariniello, lo stesso del processo alla Juve - muoiono di Sla sei volte di più rispetto alla popolazione generale». Petrini aspira l’ennesima boccata di sigaretta e risponde: «Un giornalista di Firenze ha fatto una statistica secondo cui la mortalità è di 25 volte superiore... E comunque 6 è già alta se si considera che si tratta di sportivi, dunque di gente che ha o dovrebbe avere parametri fisico-organici superiori».
Senza dimenticarsi, ricorda ancora Petrini, che un documento diramato dal ministero della Sanità nel 1999, dice che i calciatori professionisti anni ’60-80 «hanno una percentuale superiore al 35 per cento, rispetto alla media della popolazione, di ammalarsi di tumori al fegato o di leucemie».
Perché il calcio sì e gli altri sport no? La medicina ufficiale, sportiva e non, brancola nel buio. «Nessuna certezza sulle cause», dicono. Tra le ipotesi ce ne sono almeno tre: il doping (ma nel ciclismo la Sla non c’è: come la mettiamo?), i microtraumi e l’uso intenso di farmaci antinfiammatori, e addirittura i campi di gioco resi tossici da sostanze chimiche e pesticidi. O una sommatoria tra una causa e l’altra.
E lei, Petrini, che idea s’è fatto? «Se si parla di pesticidi, allora i contadini dovrebbero essere tutti malati di Sla... Io non ho cognizione di causa. Borgonovo dice che il calcio non c’entra. Io dico che c’entra eccome. Poi sarà il tempo a decidere. Io dico che c’è un sacco di calciatori che muore e nessuno va a vedere i prodotti propinati a questa gente. L’abuso di farmaci è stato sfrenato. Ne vuole una prova?».
Prego. «Io sono stato operato di un tumore alla testa. I miei occhi non ci vedono per un glaucoma che, ne sono convinto, è stato sicuramente accelerato dall’uso del cortisone. L’unico occhio che ci vedeva si è spento dopo l’operazione del giugno 2005. E io di cortisone nella mia carriera ne ho fatto montagne. Lo dico perché solo il Milan, ai miei tempi, si preoccupò di farmi una visita agli occhi e il medico mi disse: “Carlo, stacci attento...”. “Il cortisone è come buttare benzina sul fuoco”, mi ha detto un altro medico pochi anni fa. Io oggi non riesco a distinguere nulla».
Il «Fango», con le sue denunce, uscì nel 2000: in otto anni qualche magistrato o inquirente l’ha mai contattata? «No. Per il libro erano tutte cose prescritte. E poi io sono un appestato, non se lo dimentichi. Un libro di quel genere, se fosse passato qualche volta in televisione, allora sì che sarebbe stato diverso».
Furio Stella per L'Espresso (15 settembre 2008)