Il Torino lo vogliamo proprio così, anzi anche un po’ più bello possibilmente

L’amore dei tifosi del Toro è immenso e travalica tutto. Non è vero che la piazza granata sia difficile o particolarmente esigente perché per renderla felice basta davvero una cosa sola: onorare la maglia. E pazienza se poi si soffre per arrivare a vincere, nessuno pretende di vincere facile. Anche se qualche volta, giusto davvero una volta ogni tanto, non sarebbe poi così male, ma alla fine se ne può anche fare a meno.
Il “Vi vogliamo così!” che si è levato nel cielo di Torino alla fine della partita con il Napoli è l’imperativo categorico che viene recapitato ai giocatori che indossano quella speciale maglia che si tramanda dal 1906 e che seppur nelle varie epoche abbia persino avuto sfumature cromatiche non sempre rigorosamente granata ne ha comunque conservato sempre intatto il valore fondante meravigliosamente espresso dalla poesia di Giovanni Arpino “Mio grande Torino”*.
Perché la bellezza del Toro risiede nelle piccole e genuine cose ed è proprio per questo che non è una squadra come tutte le altre. Non si tratta di superbia o di arroganza, ma di umile semplicità che non significa accontentarsi o rinunciare a sognare, tutt’altro. La grandezza del Grande Torino infatti risiedeva in giocatori che erano persone del tutto normali, comuni che tirandosi su le maniche fra tante difficoltà (si era nell’immediato dopoguerra) e facendo leva su se stessi erano arrivati ad essere la squadra più forte del mondo a tal punto che erano diventati il simbolo della speranza e della rinascita per l’intera Nazione. Ragazzi determinati ad andare avanti con forza e volontà grazie al proprio talento che li spingeva a sperare, e quindi anche a far sperare gli altri, in un futuro migliore per sé e per i propri figli andando oltre l’essere una squadra di calcio e assumendo una connotazione umana e sociale. Ed ecco perché era una squadra amata da tutti.
Ebbene in quel “Vi vogliamo così!” è racchiuso tutto il concetto dell’essere granata e che ha una distanza siderale dal Torino Fc inteso come l’attuale società di calcio. Se i giocatori che ieri sera erano su quel rettangolo verde indossando le maglie granata hanno anche solo un po’ percepito il significato di questa frase allora potranno fare altre partite come quella di ieri sera, magari persino un po’ migliori senza avere il patema che incombeva “se il Napoli ci fa un gol poi chissà cosa accade” e non ricadere più in prestazioni come quelle con Inter, Atalanta e Parma. La cosa peggiore che potrebbe accadere è se domenica prossima col Genoa, squadra non con lo scudetto cucito sulla maglia come il Napoli, si dovesse assistere a un’altra prestazione mesta e mortificante come più volte visto in questo inizio di stagione.
*”Mio Grande Torino” di Giovanni Arpino
Rosso come il sangue, forte come il Barbera, voglio ricordarti adesso, mio grande Torino. In quegli anni di affanni, unica e sola era la tua bellezza.
Venivamo dal niente, da guerra e da fame, carri bestiame, tessere, galera, fratelli morti in Russia e partigiani, famiglie separate, ogni bandiera era perduta.
Eravamo poveri, lividi, spaventati, neanche un soldo sulla pelle e per lavorare
e dovevi sorridere, brigare, pregare fino all’ultima goccia del tuo fiato.
Fumare voleva dire una cicca in quattro, per divertirsi dovevamo ridere di poco,
per mangiare mangiavamo perfino i gatti, non eravamo nessuno: i furbi come gli sciocchi.
Ma avevamo un fiore ed eri tu, Torino, la tua bravura era tagliata nell’acciaio,
gioventù nostra che tutti i dispiaceri portavi via con la tua faccia dura.
La tua faccia d’operaio, mio Valentino!
Mio Castigliano, Riga, Loik, e quella peste di Gabetto, che faceva diventare tutti matti con venti dribbling ed era già gol.
Filadelfia! Ma chi sarà il villano a chiamarla un campo? Era una culla di speranze, di vita, di rinascita, era sognare, gridare, era la luna, era la strada della nostra crescita.
Hai vinto il Mondo, a vent’anni sei morto.
Mio Torino grande, Mio Torino forte.
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