Grande Torino, la Leggenda del calcio
Il Grande Torino è stato, è e sarà sempre una parte della Storia d’Italia. Non lo dicono i tifosi e simpatizzanti della squadra granata o gli amanti del calcio, lo dicono i fatti. Record su record polverizzati. Giocatori considerati fra i più forti al mondo. Una squadra che era assurta a simbolo della rinascita della Nazione dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. Uomini che incarnavano l’orgoglio dell’Italia, che a livello internazionale era poco considerata a causa della sconfitta nel conflitto bellico. Un ciclo di vittorie interrotto solo dalla tragedia di Superga il 4 maggio 1949. Il Torino tornava da Lisbona dove era stato invitato per la partita di addio al calcio del giocatore portoghese capitano del Benfica Françisco Ferreira, amico di Valentino Mazzola, gara decisa qualche mese prima, in occasione della partita dell’Italia contro la nazionale portoghese.
Cinque scudetti vinti consecutivamente (42-43, 45-46, 46-47, 47-48 e 48-49), una Coppa Italia (42-43), dieci giocatori su undici in Nazionale (11/05/47, Italia-Ungheria 3-2, a segno Loik e doppietta di Gabetto), 408 reti segnate negli anni degli scudetti (Mazzola 97, Gabetto 86, Loik 62, Ossola 50, Menti 39, Castigliano 35, Grezar 19, Martelli 10, Ballarin 4, Bongiorni 2, Fadini, Maroso, Rigamonti e Schubert 1), miglior punteggio in classifica 65 punti (47/48), la vittoria casalinga con maggior scarto 10-0 con l’Alessandria (47/48), la vittoria in trasferta con più gol realizzati 7-0 con la Roma (47-48), il più alto numero di partite vinte fra le mura amiche 19 su 20 (47-48), il maggior numero di punti conquistati in casa 39 su 40 (47-48), il massimo numero di reti in campionato 125 (47-48). Una sequela di record unica nella storia del calcio.
Indro Montanelli: <>. Valerio Bacigalupo, portiere; Aldo Ballarin, terzino; Dino Ballarin, terzo portiere; Emile Bongiorni, centravanti; Eusebio Castigliano, mediano; Guglielmo Gabetto, centravanti; Ruggero Grava, ala e centravanti; Giuseppe Grezar, mediano; Ezio Loik, mezz’ala; Virgilio Maroso, terzino; Danilo Martelli, mediano e mezz’ala; Valentino Mazzola, mezz’ala; Romeo Menti, ala; Pietro Operto, terzino; Franco Ossola, ala e centravanti; Mario Rigamonti, centromediano; Julius Schubert, mezz’ala. Con loro perirono Rinaldo Agnisetta, amministratore delegato; Ippolito Civalleri, accompagnatore; Ottavio Cortina, massaggiatore; Leslie Lievesley, allenatore in seconda; Egri Erbstein, allenatore; Andrea Bonaiuti, responsabile della trasferta; Renato Casalbore, giornalista e fondatore di Tuttosport; Luigi Cavallero, giornalista capo dei servizi sportivi de La Stampa; Renato Tosatti, giornalista sportivo della Gazzetta del Popolo; e i membri dell’equipaggio dell’aereo sul quale viaggiava la squadra. Sopravvissero perché rimasti a Torino: Sauro Tomà, terzino che era infortunato, Renato Gandolfi, mancato il 30 aprile scorso, secondo portiere lasciato a casa dal presidente Novo, che aveva accolto la richiesta di Aldo Ballarin di far andare a Lisbona il fratello Dino, e Nicolò Carosio, giornalista radiofonico inventore della radiocronaca sportiva che rimase in Italia per la cresima del figlio.
Con la tragedia di Superga Il Grande Torino da parte della Storia d’Italia si è trasformato in Leggenda. Altri fatti lo provano. Il 6 maggio 1949, giorno dei funerali, nelle strade di Torino a seguire il corteo funebre e i funerali vi erano 600 mila persone, come riportano i giornali dell’epoca, ma il capoluogo piemontese contava circa 400 mila abitanti. In contemporanea alle esequie funebri nelle maggiori, e non solo, città italiane, chiese e piazze erano gremite di gente. Delegazioni di squadre italiane e straniere, personalità politiche, intellettuali, sportivi, e tanta gente comune. L’intera Nazione rendeva omaggio al Grande Torino. Da allora ogni 4 maggio i tifosi del Toro e tutti quelli che vogliono rendere omaggio agli invincibili salgono al colle sormontato dalla Basilica di Superga, contro la quale si schiantò l’aereo, e con una cerimonia ufficiale celebrano quel Torino che quando decideva che era arrivato il momento di avere la meglio sugli avversari allo squillo della tromba di Bolmida, il trombettiere del Filadelfia - lo stadio nonché casa del Grande Torino e di tutti i tifosi del Toro fatto abbattere il 10 aprile 1998 e in attesa di essere ricostruito - capitan Valentino Mazzola si rimboccava le maniche e la squadra con determinazione conquistava la vittoria.