Nesti e i suoi dubbi: "Perchè nessuno si presenta a Cairo per comprare il Torino?"

Nesti e i suoi dubbi: "Perchè nessuno si presenta a Cairo per comprare il Torino?" TUTTOmercatoWEB.com
mercoledì 9 luglio 2025, 12:04Notizie
di Marina Beccuti

Carlo Nesti ha proposto a TMW il diario "dei miei pensieri", a partire dal giugno 2025, fino ad oggi.

Uno dei suoi pensieri più recenti riguardano il Torino e perchè nessuno si avvicina a Cairo per pare una proposta di acquista per il Torino Fc. 

9-7-2025
Carlo Nesti: "Torino: perché nessuno bussa alla porta di Cairo?''

Ogni anno, ogni giorno, ogni ora, il tifoso del Toro si chiede quando cambierà la proprietà. La grande ascesa imprenditoriale di Urbano Cairo non ha avuto un riscontro, di eguale portata, nella crescita della società granata. Ho sempre sposato 2 tesi.

1) Nessuno compra il Toro, perché, in effetti, nessuno bussa alla porta di Cairo.

2) Gli acquirenti ci sarebbero, ma sono scoraggiati dalle richieste di Cairo: 250/300 milioni.

3) Gli Agnelli-Elkann, che, oggi come oggi, vogliono avere una sola squadra in città? Non ci credo, perché poteva valere solo nel secolo scorso.

Per capire cosa sta succedendo, occorre prendere atto della realtà attuale del calcio italiano. Con il Monza, circa la metà delle 40 squadre, che giocheranno in Serie A e B, saranno controllate da Fondi di investimenti, o proprietà straniere. Perchè non si interessano anche al club granata, con un potenziale stadio da acquistare, e sviluppi di marketing (musei, mostre, documentari ecc.), evidenti per un neonato, ma non per i presidenti? Pare che spaventi (mamma mia, che paura!) la legittima ambizione della tifoseria, che, avendo come punti di riferimento il Grande Torino, Meroni, Pulici e Ferrini, e "sentendo" il Toro come una squadra di prestigio storico, avrebbe un minimo di fame di risultati sportivi, assenti da una ventina d'anni. Ecco cosa scrive calcioefinanza.it.

DA CALCIOEFINANZA.IT

Se la storia o il blasone di una società non obbliga i proprietari al bisogno assoluto di portare a casa trofei, il lavoro degli investitori è molto più semplice e il calcio dei fondi funziona tendenzialmente. Per rimanere nel limbo della Serie A spesse volte è sufficiente vendere i giocatori più chiesti dal mercato per incassare plusvalenze con le quali comprare nuovi giovani di cui almeno uno potrà fare segnare una nuova plusvalenza. Per altro in un settore in cui i prezzi di acquisizione dei giocatori sono in crescita da tempo e con mercati di sbocco con grandi capacità di spesa quali quello della Premier League o dell’Arabia Saudita che pagano cifre fuori scala per la media del calcio italiano, non è nemmeno impensabile che il valore del club nel medio termine aumenti e quindi l’eventuale cessione della società porti a una lauta plusvalenza per gli investitori. In fondo l’importante in termini sportivi è solo quello di evitare la discesa in Serie B, con i mancati introiti televisivi e da stadio di cui sopra, ed è di qui che scaturisce la totale avversione dei club di media levatura verso l’abbassamento della Serie A da 20 a 18 squadre.

ECCO IL PASSAGGIO, CHE PUÒ RIGUARDARE IL TORO...

Il gioco invece diventa terribilmente più complicato quando alla dinamica economica si affianca la necessità di vincere, tipica dei grandi club. Questo bisogno spesso impone scelte magari non razionali da un punto di vista del mero bilancio, obbliga a trattenere i campioni più importanti anche dinnanzi a offerte sostanziose per creare un nucleo che possa durare nel tempo. E tutto questo con lo svantaggio che nessuno ha la ragionevole certezza di ottenere l’obiettivo sperato. Perché se tanti a inizio stagione partono per vincere qualcosa, alla fine solo pochi se non pochissimi alzano un trofeo.

È evidente che in questo secondo quadro il peso maggiore, almeno per quanto concerne tra i fondi impegnati in Italia, lo devono sopportare quelle società di investimento proprietarie dei club più blasonati: ovvero Oaktree per l’Inter e RedBird per il Milan. Con la differenza però che la società californiana ha ottenuto il controllo dei nerazzurri a prezzo di saldo (praticamente i 275 milioni del prestito non rimborsato da Suning più altri 52 versati nelle casse del club finora) mentre Cardinale ha pagato i rossoneri a prezzo pieno, ovverosia 1,16 miliardi tra equity (600 milioni) e vendor loan (560 milioni). E questo necessariamente pesa e peserà nelle strategie di uscita dall’investimento.