Comi jr a TMW Magazine: "Nessuno mi ha mai regalato niente"
Un cuore granata che gli batte dentro al petto, una realtà e un sogno chiamato Milan che vive con una professionalità e una serietà non comuni in ragazzi di appena 20 anni. Dalla Mole al Duomo imponendosi a suon di gol e poche parole. Gianmario Comi, figlio d'arte, non è partito dal basso come tutti e seppur portando un cognome importante per quello che ha rappresentato il padre nella storia del Torino, ha negli occhi lo sguardo di chi ha dovuto sudarsi tutto quello che si è conquistato. "Io ho iniziato a giocare nei primi calci quando ero al Chieri, nella società dove papà faceva il direttore generale e li mi divertivo con tutti i miei amici. L'anno dopo mio padre andò al Torino e solo dopo sono venuto a sapere che già negli anni prima, sia il Torino che la Juventus mi avevano richiesto al Chieri. Lui non mi disse nulla perché ci teneva che io mi divertissi a giocare a pallone. Come Chieri eravamo fortissimi e quasi automaticamente siamo finiti in blocco al Toro".
Cos'ha rappresentato per te Antonino Asta? "Lo ha avuto come mister per quattro anni ed essere stato un punto fermo delle squadre che allenava mi ha fatto crescere molto perché mi responsabilizzava tanto. L'ho apprezzato tantissimo anche come persona ma se devo essere sincero tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno dato qualcosa. Avere una bandiera del Torino come Asta è stato bello perché lui oltre ad essere l'allenatore incarnava tutti quei valori tipici della società granata. E' un tecnico molto bravo sotto tutti i punti di vista e ci trasmetteva, giorno dopo giorno, tutta la sua carica".
Com'è stato il passaggio da Torino a Milano? "Sono due città abbastanza simili. Certo Milano è più grossa e c'è molto più traffico (ride). A parte gli scherzi, ho la fortuna di potermi adattare ad ogni situazione e ambiente nel quale vado. Mio papà è di origini brianzole quindi mi sono ambientato bene dai".
Possiamo dire che nessuno ti ha mai regalato nulla? "Assolutamente. Nessuno mi ha mai regalato nulla anzi, quando ero piccolo, mio padre non voleva che andassi al Toro perché voleva che io giocassi a calcio divertendomi con i miei amici e, soprattutto, non voleva alimentare voci sul fatto che io fossi un giocatore del Torino perché ero suo figlio. Spesso, proprio per questo motivo, sono stato anche cazziato oltre modo".
C'è un aneddoto simpatico che ci puoi dire sul rapporto con tuo papà? "Mi ricordo che quando giocavo a Chieri doveva venirmi a prendere alla fine degli allenamenti verso le sei e mezza di sera e lui si dimenticava e mia madre, quando stava per iniziare a preparare la cena gli chiedeva: 'Dov'è Gianmario?' e lui mi veniva a prendere dopo (ride)".
Se un domani dovesse esserci un Milan-Torino con te protagonista, magari con un gol. Cosa faresti? "Io sono sincero fino in fondo. Il mio lavoro è quello di fare il calciatore e la mia ambizione è quella di farlo ad un determinato livello. Io sono tifoso di una squadra perché ci sono cresciuto, mio padre ha giocato nel Toro e la famiglia di mia madre è tifosa del Toro ma se uno gioca in una squadra che va contro quella della sua fede calcistica, la deve affrontare al massimo se vuole essere chiamato professionista. Ho un sogno professionale però se lo dico non si avvera quindi me lo tengo per me".