Carlo Nesti: "Torino: può esistere una via di mezzo fra realismo e amore?"
Nel diario dei miei "pensieri", rubrica su TuttoMercatoWeb.com, il noto giornalista Carlo Nesti ha parlato del Torino partendo dal presupposto che: capire il Torino significa partire da 2 punti di vista opposti.
1. Considerare il Torino, dal 1993, anno dell’ultima Coppa Italia, e cioè da 32 anni, soltanto una squadra media. Perché? Perché non ha vinto più nulla, e, come tale, è apparso spesso a rischio di retrocessione o fallimento, come già accaduto. In questo senso, è inevitabile che Cairo, soprattutto a fronte dell’arrivo di superpotenze economico-finanziarie, tenga un profilo basso, curi il bilancio, venda i giocatori richiesti, e acquisti altri giocatori, risparmiando il più possibile. Unica obiezione. L’Atalanta, da 20 anni, segue la stessa filosofia, ma con risultati ben diversi: ha venduto bene, e acquistato meglio. Anche il Bologna ha compiuto passi da gigante, agevolato da una piazza meno pressante di quella granata. C'erano una volta, come direttori sportivi, Beppe Bonetto e Luciano Moggi. Chi dopo di loro?
2. Considerare il Torino ancora una grande, alla luce della storia, e cioè 7 scudetti, 5 Coppe Italia, 1 Coppa Mitropa, 1 finale di Coppa Uefa, e i miti del Grande Torino, e di Gigi Meroni, valorizzabili sicuramente meglio a livello di marketing. Ciò accade nel Manchester United (altra sciagura aerea), senza che nessuno si scandalizzi. In questo senso, Cairo non soddisfa i tifosi, impoverendo con le cessioni, ogni estate, la squadra. Parallelamente, tante promesse di gloria, non mantenute, hanno irritato i sostenitori, perché, dopo 10 anni, valeva la pena parlare chiaro, sulla reale dimensione della società. L’eccezionale ascesa imprenditoriale di Cairo, che ha utilizzato l’immagine del Torino, per farsi conoscere, lasciava intendere una «restituzione», dettata dalla riconoscenza. Cairo grande? Anche il Torino grande! E invece no...
Questo è il "corto circuito", dal quale sono rimasti scottati, e contestati, per la verità, non solo Cairo, ma tutti i presidenti post-Pianelli, compreso Pianelli: Rossi, Gerbi, Borsano (unico “assolto”), Goveani, Calleri, Vidulich, Cimminelli-Aghemo, e Cimminelli-Romero, fino al benemerito “lodista” Marengo. Attenzione, però! Quando si diventa proprietari del Torino, non ci si imbatte solo con le ambizioni sportive dei tifosi, ma anche con la loro "religione laica". Questo attaccamento alla storia, in Italia, non ha eguali: Grande Torino, Meroni, Ferrini, Filadelfia, e maglia granata. Guai a chi non coltiva certi valori, a cominciare dal presidente di turno, con la stessa passione, con cui segue la prima squadra. A volte, contano più gli slanci passionali, che non i risultati sportivi.
È possibile gestire il Torino, attuando una via di mezzo fra il primo e il secondo punto di vista? Dalla risposta, che chiedo anche ai sostenitori, dipende il futuro granata, fra realismo e amore.
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