Gli 80 anni di Tuttosport, l’articolo scritto da Carlin sui funerali del Grande Torino

Ieri il quotidiano sportivo Tuttosport ha compiuto 80 anni e oggi propone articoli che ne ripercorrono la storia fra questi quello scritto da Carlin sui funerali del Grande Torino.
I funerali del Grande Torino nelle parole strazianti e dolcissime di Carlin Bergoglio: più che una cronaca, un’elegia per dei giovani campioni che erano chiamati Invincibili. Le lacrime composte, gli abbracci tra i ragazzini, i baci dai davanzali e i fiori.
Il presidente federale Barassi chiamò per nome tutti e 31 i Caduti, assegnando il 5° scudetto di fila: “Valentino, la vedi questa bella Coppa? È per te, è per voi”.
Carlin scriveva: “Li abbiamo visti venir giù dallo scalone dello Juvarra nell’atrio di Palazzo Madama. E come non mai abbiamo avuto con-tezza dell’immensità della catastrofe. Interminabile ci è parsa ad un certo momento la fila.
Venivano giù racchiusi nelle bare di legno chiaro (come brillava il Crocefisso sul tricolore!) portati solennemente a spalla dai compagni, dagli amici, dai colleghi. Mazzola, il gran capitano del Torino e della Nazionale, era esclusivamente portato da naziona-li ed ex nazionali (Baloncieri, Rossetti, Campatelli, Lorenzi, Becattini… Azzurri d’ogni età e d’ogni paese) e davanti veniva Pozzo, facendo largo. Una bara, forse quella del più giovane giocatore della Squadra campione, era portata religiosamente dai ragazzi del Torino in maglia granata; e ci parve di sentire, lontana, la marcia funebre di Sigfrido. Casàlbore era sulle spalle dei colleghi e dei collaboratori che per trent’anni avevano lavorato con Lui e che per ciò più l’adoravano. La bandiera ungherese e la bandiera inglese, oltre quella italiana, era sulle casse di Erbstein e di Lievesley…
Scendevano ad uno ad uno, lentamente, tra i cordoni d’onore degli ufficiali dei carabinieri in alta uniforme; e dietro ciascuno venivano i parenti in lacrime, coi primi fiori, e davanti a tutti il labaro della più anziana società d’Italia, il Genoa nei nove scudetti. Un corteo che pareva non finir più. Dallo scalone opposto, tutti ci segnammo per trenta e una volta; trentun anni ci parve quella mezzora, tanto fu angosciosa. Prima, nella vasta camera ardente lo stesso salone in cui avevamo assistito all’ultima assemblea generale dei dirigenti del calcio italiano – erano stati salutati dai discorsi delle autorità governative e municipali, dei rappresentanti della Federazione, del Torino, della stampa. Commovente era stato quello di Barassi. Egli aveva parlato agli atleti racchiusi tutt’intorno (sorridevano i loro ritratti sulle bare) come se sentissero, e ci era parso veramente che sentissero. Aveva assegnato ad essi, ufficialmente, il quinto scudetto consecutivo, li aveva premiati simbolicamente per nome, uno per uno, chiamando anche i giornalisti, i dirigenti, gli uomini dell’equipaggio, infine ave-va ancora chiamato Mazzola: «La vedi questa bella Coppa? (e disegnava con le braccia aperte una gran coppa nell’aria). La vedi com’è bella? È per te, è per voi. È molto grande, è più grande di questa stanza, è grande come il mondo: e dentro ci sono i nostri cuori».
Fuori, tutta Torino attendeva. Assiepata in doppie profondissime file lungo tutto il percorso del funerale, aveva reso deserte le altre strade, le altre case. Aveva pianto all’ultima premiazione di Barassi diffusa dagli altoparlanti, ora attendeva i suoi campioni per l’estremo saluto; e quelli in prima fila avevano i fiori pronti in mano.
Nella gran Piazza Castello, gremita e silenziosa, la gente si sporgeva dai davanzali, dagli abbaini, dalla torre, dagli alti balconi di San Lorenzo; era sui cornicioni, sulle armature della pubblicità sui tetti, ovunque era possibile stare in piedi.
Quando son comparse le salme, un lungo brivido ha pervaso gli astanti. Giovani e vecchi singhiozzavano, molti son caduti in ginocchio, mentre le bare si susseguivano e venivano caricate sugli autocarri verniciati di nuovo. Poi i fiori le hanno ricoperte, le innumerevoli corone sono state caricate sulle vetture al seguito, il corteo si è formato facendo il giro della piazza. In testa venivano subito “i ragazzi” del Torino e della Juventus nelle loro divise di gioco, coi loro vessilli. Poi le autorità e tutte le società italiane: quelle lontane avevano inviato qualche dirigente, quelle vicine avevano mandato tutti i loro giocatori. La Juventus aveva chiesto il rinvio della sua gara a Palermo e la richiesta non era stata accolta. La squadra era quindi partita, a malincuore, giovedì sera; ma giunta ad Alessandria, quando già stava disponendosi nelle cuccette del vagone letto, era stata richiamata, essendosi i dirigenti accorti che c’era ancora un treno, dopo i funerali, per giungere in tempo a Palermo. E con gran soddisfazione era tornata.
Tutti avevano voluto esserci per l’ultimo saluto. I giovani, i ragazzi, i bimbi erano in prima fila nelle strade dove il corteo passava. E quanti operai, quanti in ginocchio al passaggio! E quanti fiori dalle finestre e dai balconi, quante lacrime!
I Caduti si son portati via, al passaggio, il Cuore di Torino. Uno spettacolo indimenticabile. Siamo vecchi torinesi, ma non ricordiamo di aver mai visto nulla di simile, una unanimità così commossa, una vibrazione così profonda.
È stato come un grande abbraccio collettivo. E il simbolo l’hanno offerto gli stessi “ragazzi” del Torino e della Juventus, al termine del corteo, in piazza del Duomo. Si è visto allora il piccolo alfiere granata e il piccolo alfiere bianconero abbracciarsi spontaneamente piangendo, confondendo i gagliardetti. Oh, i cari ragazzi!
Ora le salme, benedette, riposano in pace. Torino aveva questa gloria e in un attimo l’ha perduta. Cercherà di ricostruirla perché è città salda e tenace. Ma sia il sacrificio, oltre che incitamento per noi, monito per tutti. Solo così non sarà stato vano”.
Ringraziamo il direttore di Tuttosport, Guido Vaciago, per averci permesso di pubblicare l’articolo.
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