PULICI ne ha per tutti: "Vorrei un Toro che soffre di meno"
"Io sono il Toro". Lo dice ridendoci su, ma in realtà è quello che tutti i tifosi granata pensano di lui: Paolo Pulici è tornato sotto la Mole - quasi a due anni dal Centenario - per salutare amici, ex compagni e tifosi presenti ieri all’inaugurazione della sede del Toro Club Orfeo Pianelli di via Cordero di Pamparato.
CALDI CONSIGLI
Il Mito però non si fa condizionare dall’affetto e nonostante la visita a Torino sia di puro piacere, non le manda a dire al Toro di oggi, che ha molto che non funziona: «Un tempo giocavamo per la maglia e non avevamo paura di nessuno. Erano gli avversari a temerci e in campo andava solo chi sapeva lottare: chi aveva la pancia piena e si sentiva arrivato, diceva Rocco, era meglio farlo dormire». Tutto diverso dal calcio moderno: «Un mondo che non mi appartiene, dove i giocatori hanno contratti lunghi 15 anni e non hanno motivazioni», ribadisce Pulici che poi invita Cairo al salto di qualità: «Vorrei un Toro che soffre meno e che cancelli lo spettro della retrocessione. Vorrei che mettesse la mano sul cuore e creasse una società come si deve».
IL RICORDO DI PIANELLI
E quindi pensando al “presidentissimo”, Puliciclone si lascia trascinare dai ricordi di quegli anni vissuti da protagonista che si è guadagnato rispetto e spazio passo dopo passo: «Per me è stato un padre e calcisticamente ha sempre dimostrato di credere nei ragazzi, in quei giovani che col passare del tempo lo portarono a vincere uno scudetto. Ha avuto coraggio», sottolinea l’ex giocatore. Ma chi era il Pianelli presidente, per lui, è sempre più facile scoprirlo: «Un uomo che ha saputo gestire la società in modo furbo e intelligente». E per capire a cosa si riferisca l’indimenticato campione granata basta un esempio.
IL SETTORE GIOVANILE
«Pianelli assegnava dei compiti, come può essere quello della gestione del settore giovanile e a fine anno valutava i risultati: quanti giocatori sono stati promossi in prima squadra, quanti campionati avevi vinto. Ma tutto questo avveniva in modo graduale, perché ci vuole pazienza e organizzazione. Pensate all’Atalanta - fa notare Pulici - fa allenare i ragazzi insieme con la prima squadra ed è l’unica società a puntare ancora sui giovani».
IL FILADELFIA
Inevitabile quindi un riferimento al Fialdelfia, fucina di grandi campioni del passato: «Non erano di per sé le mura del Filadelfia, ma le persone che ci lavoravano dentro, anonimamente, e poi quel corridoio - ricorda l’ex attaccante -. La prima porta che incontravi, prima di arrivare al fondo, dove c’erano i più giovani, era la porta dello spogliatoio della prima squadra: ricordo ancora quando uscì da lì un certo Combin che mi chiese “Chi sei?”, “In che ruolo giochi?”. Ti faceva sentire coinvolto e una volta promosso in prima squadra ero io a cercare di far sentire importanti quei ragazzi che prima di pensare a vincere devono sapere che devono imparare molto e soprattutto che il calcio è un gioco».
Andrea Scappazzoni