Cuore di figlia innamorata del padre. Viktorija Mihajlovic celebra in un libro il padre Sinisa e racconta...
Viktorija Mihajlovic si è commossa a vedere correre, tutto solo, il padre Sinisa, in quel di Casteldebole. La fine di un incubo o quasi.
"Fino a ieri camminava e basta, questa è la prima volta che si allena e io so quanto lo desiderava. Vederlo è stata un’emozione. Mi è tornato in mente quando l’ho visto dopo il primo ciclo di chemioterapia: ne aveva fatte 13 in cinque giorni, era in ospedale, le gambe di colpo secche nei calzoncini, le orecchie che sembravano enormi perché aveva perso i capelli. L’ho abbracciato e non ho sentito la sua stretta. “Non ho molta forza”, mi ha detto. Non so come sia riuscita a non piangere. Ho pianto dopo", h raccontato al Corriere della Sera la splendida 23enne, primogenita di Sinisa e della moglie Arianna, studentessa di psicologia. Viktorija ha scritto anche un lirbo dedicato al padre "Sinisa, mio padre", previsto in uscita il prossimo 19 maggio, edito da Sperling & Kupfer.
"Ho scritto questo libro perché davanti al rischio che papà morisse ho pensato: non ce la farò, ma poi ho scoperto che la forza ti esce. E voglio dirlo a tanti che vivono la stessa situazione".
Viktorija ha poi raccontato come ha saputo della malattia del padre.
"Tutti noi eravamo in Sardegna al mare e lui a Bologna. Ha telefonato a mamma, che ha un carattere forte e gli ha detto subito “stai tranquillo, ce la faremo”. Poi mamma l’ha detto a noi, a me per ultima, perché sa che non controllo le emozioni e che ho la fobia degli ospedali. Da sempre, la mia paura più grande era che mamma o papà stessero male. Mia sorella è venuta a chiamarmi e aveva la faccia sconvolta. Ho pensato di aver fatto io qualcosa di male. Non capivo cosa. Papà era uno sportivo, giocava a Paddle tre ore di seguito, era inimmaginabile che stesse male".
La giovane Mihajlovic ha poi proseguito: "Mi sono accasciata per terra, mi ripetevo che non poteva essere successo a noi, proprio a lui che ha già sofferto tanto, che è cresciuto povero e sotto le bombe, in Serbia. Ho urlato, pianto, spaccato tutto. E desideravo solo essere figlia unica, perché pensavo che quello era un dolore troppo grande per i miei fratelli. La parola leucemia, per me, significava morte certa".