Jacopo Mariani: "Il calcio mi manca, un giorno spero di tornarci"

Un prezioso ricordo per Emilio Venezia
11.11.2010 08:54 di  Marina Beccuti   vedi letture
Jacopo Mariani: "Il calcio mi manca, un giorno spero di tornarci"
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Jacopo Mariani, 28 anni, ex giocatore del Torino, squadra con cui ha esordito in serie A giovanissimo grazie a Mondonico, ha molto granata nel suo DNA. Non solo è figlio d'arte essendo il primogenito di Pedro, intervistato da TorinoGranata la scorsa estate, ma sua madre è una Venezia, figlia di quel grande dirigente che contribuì a costruire il Toro dell'ultimo scudetto. 

Jacopo Mariani, figlio d’arte ed un esordio giovanissimo in prima squadra nel Torino. Che ricordi ha di quei momenti?
Ho esordito il 14 maggio 2000, in Torino - Piacenza del girone di ritorno, avevo 17 anni e sulla panchina del Toro siedeva Emiliano Mondonico. Sono entrato nel secondo tempo andando a sostituire Fabio Quagliarella. Lo considero il momento più bello della mia breve e aihmè sfortunata carriera di calciatore; di quel giorno ricordo in particolare la soddisfazione della mia famiglia (in particolare di mio nonno Emilio) al termine della partita all'uscita dagli spogliatoi.

Quanto suo padre ha influito nella scelta di fare il calciatore?
Ho iniziato molto giovane nei "Primi Calci" del Toro, avevo 6 anni, ho percorso tutta la trafila delle giovanili granata. Ad essere sincero la persona che più di tutte ha influito sulla mia scelta di intraprendere la strada del calcio è stata mia nonna Maria Rosa, la tifosa del Toro più sfegata della famiglia. Mi ha da subito indirizzato verso i colori granata, è lei che mi ha sempre incoraggiato accompagnandomi a tutti gli allenamenti e alle partite.

Purtroppo un tremendo infortunio l’ha costretta a smettere. Cosa si prova in quei momenti?
Purtroppo i brutti infortuni sono stati due, entrambi ai legamenti del ginocchio destro. Il brutto di momenti come quello che ho vissuto io, sempre più frequenti nel calcio moderno, è che sei solo con te stesso, il recupero dipende solo da te, serve molta pazienza. Dopo il secondo infortunio il mio fisico non è più stato in grado di reggere i ritmi ai quali un giocatore è sottoposto quotidianamente, ho passato due anni terribili.

Segue ancora il Torino?
Amo ancora profondamente il calcio, mi manca molto, cerco di seguire un po' tutte le partite e sì, nonostante i risultati a cui ci ha abituato da un po' di anni, il Toro lo seguo ancora.

Cosa pensa del momento attuale?
Il mio punto di vista è che la crisi del Torino sia figlia di un malessere generale in cui versa un po' tutto il calcio italiano. La sensazione che si prova dal di fuori è che ci sia scarsa pianificazione, carente programmazione, sembra che gran parte degli sforzi economici e tecnici degli attuali presidenti e dirigenti siano solo volti al raggiungimento di risultati nel breve periodo; tutto ciò va irrimediabilmente a discapito della crescita dei giovani, la vera linfa vitale di questo sport. In altri paesi, prendo come esempio l'Inghilterra, ci sono società che investono gran parte delle proprie risorse in impianti sportivi e settori giovanili, società che investono in dirigenti giovani e preparati. Il calcio non è più quello di una volta e la sua gestione, a parer mio, andrebbe interpretata in un'ottica di modernità, mediante azioni e decisioni differenti, frutto di preparazione e lungimiranza.

C’è qualche compagno con cui ha giocato che è diventato importante?
Ricordo con piacere molti compagni di squadra, tanti di loro ora sono diventati giocatori di alto livello, penso in prima battuta a Fabio Quagliarella, Federico Marchetti ed Emanuele Calaiò. Con quest'ultimo in particolare ho avuto un rapporto di amicizia intenso; ora le nostre strade si sono divise, gli auguro un ottimo proseguio di carriera e spero che continui a fare tanti gol.

Cosa si ricorda di suo padre calciatore?
Un ottimo professionista che ha saputo reagire con carattere e personalità ad una serie di brutti infortuni che ne hanno un po' rallentato la carriera. Un trascinatore in campo e fuori che a detta di molti si è sempre fatto volere bene dai propri compagni di squadra. La sua lunga e ammirevole carriera è il frutto delle sue grandi doti tecniche e della sua forte passione per questo sport. 

Sua madre è una Venezia, figlia di un grande dirigente del Torino ai tempi di Pianelli. Cosa si ricorda dei suoi nonni e come ha vissuto il Toro in casa?
Nella mia famiglia si è sempre vissuto il Toro con forte passione, mio nonno Emilio è stato uno dei dirigenti più importanti del Toro, uno di quelli che ha contribuito a costruire una delle squadre più forti che si siano mai viste nel calcio, il Toro dell'ultimo scudetto. Preferisco ricordarlo però come una delle persone che ho amato di più nella mia vita, un uomo umile, generoso, elegante e buono con tutti. Lui è stato un mio punto di riferimento importante durante la mia avventura calcistica ma soprattutto al di fuori di essa. Mia mamma assomiglia molto a lui, devo ringraziarla fortemente per tutto ciò che ha fatto e che continuerà a fare per me.

Adesso di cosa si occupa Jacopo Mariani?
Quando ho smesso di giocare mi sono laureato. Attualmente lavoro in DM Group S.p.A., un'importante agenzia di comunicazione di Torino. Il calcio continua a mancarmi molto, spero un giorno di avere la possibilità di poterci tornare in altre vesti.

Secondo lei perché il Toro ha così difficoltà a risalire dopo essere andato in B due stagioni fa?
In questi ultimi anni il Toro ha cambiato di anno in anno numerosi giocatori, molti di questi sono arrivati con la formula del prestito e a stagione inoltrata. Chiaro che agendo così gli ottimi tecnici chiamati a condurre la squadra abbiano riscontrato diverse difficoltà nell'amalgamare il gruppo e nel fornire alla squadra le giuste motivazioni per raggiungere il difficile obiettivo in un campionato particolare come la Serie B italiana.

Secondo lei l’ambiente granata fa bene a vivere sempre nel passato oppure è giunto il momento della svolta?
Per rispondere a questa domanda mi collegherei un po' a quanto espresso sopra; in generale penso che il Toro sia da ricostruire ponendo le basi su di una nuova e più moderna cultura sportiva, senza però abbandonare del tutto i grandi valori di questa società derivanti dalla sua gloriosa e travagliata storia.

C’è un giocatore oggi che le piace in modo particolare veder giocare?
Cassano è il giocatore che più mi diverte vedere in campo di questi ultimi tempi. Tralasciando il lato caratteriale, trovo che siano pochi i giocatori che sanno fare in campo quello che sa fare lui. 

Con questa intervista abbiamo voluto anche ricordare la figura di un grande dirigente del Torino Calcio, quell'Emilio Venezia che contribuì a costruire una grande squadra insieme a Pianelli, un dirigente preparato ma anche molto umano, di quelli che ci metteva il cuore sopra ogni cosa, spesso poco ricordato, al quale invece va un grosso tributo per quello che ha dato al Toro.