Intervista a Sergio Vatta, "il mago del Filadelfia"

«Per noi era fondamentale insegnare l'educazione e il rispetto, poiché prima di formare i calciatori bisogna formare gli uomini».
26.12.2018 09:00 di  Giuseppe Livraghi   vedi letture
Fonte: Giuseppe Livraghi
Intervista a Sergio Vatta, "il mago del Filadelfia"
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Il Toro, si sa, è ben più di una compagine calcistica: è una leggenda con pagine gloriose e tristi, è il Filadelfia, è il rapporto passionale con la sua gente. Appunto per parlare di Toro e del Filadelfia, abbiamo intervista colui che del Filadelfia è stato “il mago”: Sergio Vatta, tecnico delle giovanili granata dal 1977 al 1991 (nonché fra i più illustri esponenti dei Dalmati Italiani).

Mister, Lei è stato tecnico delle giovanili granata per tanti anni: ritiene che da quei tempi il calcio sia cambiato molto?

«Diciamo che è nella logica delle cose che ci siano dei cambiamenti. Più che fare un raffronto tra noi e il calcio attuale, preferisco parlare del nostro operato».

Operato che ha dato tanto lustro al Toro...

«Abbiamo cresciuto tanti giovani: oltre sessanta (per la precisione 64) dei quali hanno poi militato nel calcio professionistico. Per onestà, bisogna dire che a quei tempi era per noi fondamentale insegnare l'educazione e il rispetto, poiché prima di formare i calciatori bisogna formare gli uomini. Ricordo che chiedevamo ai ragazzi come andassero a scuola: i migliori erano Silvano Benedetti e l'attuale direttore generale granata Antonio Comi. Diciamo che noi insegnavamo ai ragazzi ad imparare».

C'era un clima di collaborazione?

«Un clima di collaborazione, di amicizia, di rispetto, di voglia di fare: ricordo che, a fine allenamento, tanti ragazzi chiedevano di continuare ancora per un po'. Poi, per quanto riguarda i fattori tecnici, eravamo una corazzata: il compianto Gigi Radice (tecnico del Torino dello scudetto 1975-'76) poteva contare anche (e senza dubbio) sui validi giovani del vivaio granata. Diciamo che era un clima poetico».

Come vede il Toro di questa stagione?

«Premetto che non mi reco allo stadio da tanto tempo, comunque spero che il Toro torni in Europa. Lo meriterebbe il suo blasone, lo meriterebbe la sua storia, lo meriterebbe la sua gente».

Tempo fa, Lei fu tra i fautori della riproposizione della Fiumana, la compagine di Fiume sciolta dopo che la città quarnerina venne strappata all'Italia. La faccenda si è conclusa?

«Era nostro desiderio iscrivere la compagine alla Serie C, poiché era in tale categoria che militava quando la città (insieme all'Istria e alla “mia” Zara) venne ceduta all'allora Jugoslavia. Purtroppo la nostra richiesta non venne accolta: non se ne fece nulla, nonostante il nostro progetto avesse basi solide. Peccato».