Carlo Nesti, i suoi quarant'anni di carriera come giornalista sportivo
Anche adesso, se provo a guardare indietro, vedo le mie dita di bambino accarezzare quelle pagine fruscianti. La colla riusciva a farle lievitare come una bizzarra fisarmonica. 1961-62, raccolta di figurine Panini: espressioni stralunate, e zigomi di trentenni, analoghi ai cinquantenni di oggi. Era il mio approccio visivo con il calcio, il più antico ricordo consapevole di una passione travolgente. L'udito, invece, si accostava allo sport grazie a un altro genere di intermediario, e trovava nella sontuosa radio-armadio del salotto la sua tentazione irresistibile. Come potevo starle lontano? 10 gennaio 1960, data di nascita di "Tutto il calcio minuto per minuto": la voce di Nicolò Carosio aveva sostituito il suono di ninne-nanna e carillon. Con il registratore a nastri "Geloso", regalato dai genitori, mi chiudevo in bagno, e inventavo radiocronache infinite di partite mai giocate. Nell’albero genealogico non esisteva traccia di calciatore, speaker o scrittore. Eppure, fin dai primi vagiti, era facile immaginarmi come un bambino perennemente con una penna nella mano destra, un microfono nella mano sinistra, e un pallone fra i piedi. Il sogno? Metterli insieme, e farne un mestiere. A pensarci bene, comunque, credo che lavoro e hobbies di papà Franco abbiano agito in modo determinante su di me. Era appassionato di calcio, e andava spesso allo stadio. Era cineamatore, e montava da solo i suoi filmini. Era commerciante di macchine da scrivere, e io, evidentemente, ero destinato a usarle. Pallone, cinepresa e tastiera: 3 elementi che, successivamente, avrei ritrovato nella vita di tutti i giorni, in una sintesi impensabile per chi, come i genitori, mi immaginava avvocato, o qualcosa di simile. Che regalo della sorte avere già, fin dalla tenera età, un'idea del proprio futuro! Per me, la suggestione della radiocronaca era addirittura "terapeutica". Da bambino ero molto, troppo timido: vivevo di emozioni profonde e rossori costanti. Ma quando, sulla spiaggia di Alassio, gli amici giocavano a biglie, quella timidezza spariva di colpo, e iniziavo a parlare, parlare, parlare, descrivendo le gare. Mi era stata regalata una coppia di radiotrasmittenti, e, in barba ai soldatini, che erano la passione dei coetanei, la creatività si sfogava nell'inventare trasmissioni radiofoniche. Il malcapitato, al quale prestavo l'altra radiotrasmittente, diventava una povera vittima dei miei monologhi. D'inverno, invece, i genitori non sapevano più come farmi guarire dal mal d'auto, allorché si saliva in montagna, verso Sestriere. Una tragedia: malori a tutte le curve. Eppure, dal momento in cui ottenni di potere portare il registratore, e raccontare il viaggio, il disturbo sparì. Il sogno di un mestiere come medicina...