Beccantini: "Non sarà un derby spettacolare, Toro e Juve non possono più sbagliare"
Roberto Beccantini, noto editorialista di calcio de La Stampa, a Torino Granata svela i segreti del prossimo derby, visto da uno juventino atipico, che non ha peli sulla lingua a criticare quando è ora di farlo anche i suoi beniamini. Beccantini è apprezzato anche dai tifosi granata per la sua coerenza e sportività. Un signore del calcio, di quelli ormai rari.
Torino città depressa del calcio. Cos'è successo alla città della Mole? Il Toro ci ha abituato a queste situazioni, ma la Juventus...
«C’è stata Calciopoli, le sembra poco? Ha sconvolto gli equilibri allora vigenti. Maggio 2006: la Juventus della Triade e di Capello bi-campione d’Italia. Poi, dopo la sentenza, rosa spappolata, serie B e sofferta rincorsa al podio. Anche e soprattutto per questo, la Torino bianconera è depressa. Quanto, viceversa, al coté granata, come dice lei, siamo nella norma».
Quante colpe ha Ranieri?
«Quando Deschamps diede le dimissioni, invitai la società a respingerle. Definii Ranieri “il migliore dei ripieghi”. È un seminatore, più che un raccoglitore. Le sue squadre graffiano, ma non mordono. Non è però assolutamente quell’incapace di cui farneticano a Tuttosport. E non ha l’organico dell’Inter o del Milan. Veniamo alle colpe: 1) le scelte di mercato, Tiago in primis (Almiron lo avrei preso anch’io: dunque, mi prendo la mia quota di responsabilità); 2) la lettura delle partite, non sempre in linea con le esigenze specifiche; 3) i troppi infortuni di natura muscolare. Sia chiaro: la scorsa stagione, ha centrato in pieno l’obiettivo (terzo posto) e non va assolutamente rimosso. Il tecnico è la polpa di ogni progetto, ma non tutto il progetto».
Stesso discorso per il Toro: quali le colpe di De Biasi?
«Più vedo il Toro, più lo trovo sempre al punto di partenza, in posizione molto ambigua. Né squadra di guerra né squadra di pace. Un ibrido ambulante, legato alle lune, ai rivali, agli episodi. Neppure De Biasi, che pure stimo, è riuscito a venirne a capo. E non c’erano riusciti nemmeno Zaccheroni e Novellino. Sembra quasi un incantesimo».
Dopo tre anni di Cairo le cose al Toro non migliorano mai. Non sarà che anche la dirigenza abbia le sue responsabilità, anche se alla fine pagano sempre i tecnici?
«Nei mercati di Cairo ho colto, spesso, l’attrazione per il nome più che la ricerca di cognomi adatti alla causa anche se non altrettanto abbaglianti. Su tutti e su tutto, l’operazione Recoba. Certo, quando un progetto va in malora o non decolla, la ghigliottina dovrebbe coinvolgere anche il capo del governo, non solo il ministro più esposto (l’allenatore). Nel caso di Cairo, la proprietà coincide con il capo del governo. Ciò premesso, è chiaro che pure lui ha le sue brave colpe».
Se dovessero saltare le due panchine, chi consiglierebbe come mister al Toro e alla Juve?
«Tifo perché non salti nessuna delle due panchine. Aborro i cambi in corsa e trovo di pessimo gusto fare nomi di sedicenti “salvatori”. Aspettiamo».
Considera questa partita fondamentale per entrambe?
«Anche se dopo la vittoria sul Real la Juve la affronta con un briciolo di serenità in più, sarà fondamentale più per lei che per il Toro. Mi spiego: il Toro è abituato a un certo tipo di classifica; viceversa, un’eventuale sconfitta spingerebbe la “Signorina” in zone mai frequentate, lontanissimo dalla zona Champions».
Cosa deve temere il Toro dalla Juve? E viceversa?
«Il Toro, della Juve, deve temere la voglia di riportarsi a ridosso delle Grandi e i colpi dei singoli. La Juve, del Toro, deve temere l’orgoglio ferito e le malizie di un ex, Nick Amoruso. Con un fisico meno fragile, sarebbe diventato un fuoriclasse».
Quanto contano gli infortuni nella Juve?
«Parecchio. A livello di “primi undici”, la Juve può giocarsela con tutti, perfino con l’Inter. I guai cominciano quando si passa ai “secondi undici”. Un nome c caso: Knezevic».
Non pensa che il 4-3-3 di De Biasi sia poco solido per una squadra che vuole salvarsi?
«Di sicuro, è un sistema di gioco impegnativo. Va dosato con cautela. L’importante è non restare schiavi di un modulo. Coma ha dichiarato José Mourinho, contano i princìpi, non gli schemi».
Come finiranno Torino e Juventus in questo campionato?
«Ad agosto, prima che il campionato cominciasse, aveva messo la Juve al terzo posto, dietro le milanesi, e il Toro al tredicesimo. Non ho ancora perso tutte le speranze di poter azzeccare il pronostico».
Esiste un perché Torino sia in crisi nel calcio?
«L’ho spiegato all’inizio, con Calciopoli. Del Toro, non ho mai capito una cosa: perché non riesce a varare un progetto tipo Udinese o Chievo. Possibile che Cairo non azzecchi mai i collaboratori?».
C'è una nuova geografia del calcio vincente?
«Certo. Comanda Milano. Massimo Moratti e Silvio Berlusconi. Gli ultimi mecenati. L’affitto milanista di Beckham, per esempio, è follia mediatica allo stato puro. Non sono invece d’accordo con Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, quando parla di un calcio più frizzante dopo Calciopoli. L’attuale scorcio lo giustificherebbe, sì, ma aspettiamo a tirare le somme: nel 2007 sbadigliammo tutti all’ombra dei record dell’Inter e l’ultimo torneo si è risolto in un braccino di ferro Inter-Roma. Sinceramente, tutta ‘sta nuova effervescenza non la vedo».
Quale sarà la chiave tattica del derby e i giocatori che potranno fare la differenza?
«Sarà, come sempre, un derby teso, aspro, brutto, in balìa degli episodi. La differenza potranno farla tutti, anche i gregari, non necessariamente i tenori».
Due parole su Rosina e Giovinco: in campo potrebbe nascere un bel duello alla distanza, sono loro il futuro di Toro e Juve?
«Non solo spero che nasca, ma pagherei perché continuasse al di là del derby. Non sono né piccoli Messia né grandi Messi, ma mi piace il loro rapporto con il calcio. Sono tazzine di caffè, non damigiane di camomilla. Puntano l’uomo, dribblano: il classico sorso d’acqua fresca. Staccato, mi raccomando: non vorrei che qualche tifoso granata pensasse a una presa in giro. Lungi da me».