Ventura: "Due obiettivi: restare in A e ritagliarci uno spazio"

Domani sarà l'inizio di una lunga corsa a tappe dove quello che conta sarà il traguardo finale. La gente deve sentirsi orgogliosa di questa squadra, noi portiamo la maglia del Toro consapevoli di quello che rappresenta e delle responsabilità.
25.08.2012 17:13 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Elena Rossin per TorinoGranata.it
Ventura: "Due obiettivi: restare in A e ritagliarci uno spazio"
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© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport

Come affronterà il Siena e come pensa che i toscani affronteranno il Torino?
“Del Siena non ho saputo niente come sempre, nel senso che è difficilissimo avere informazioni sulle altre squadre perché alcune arrivano a fare sette giorni su sette lavoro a porte chiuse. Il Siena è una buona squadra perché l’anno scorso si è salvata con alcune giornate di anticipo e ha fatto dei buonissimi risultati dovuti anche alla qualità dei giocatori, faccio dei nomi, i primi che mi vengono in mente, D’Agostino, Calaiò, Vergassola hanno tutti alle spalle molti campionati di serie A disputati con appunto qualità. Questo è il quadro, poi adesso inizia il campionato e penso che le difficoltà che incontreremo a Siena, per il mio modo di vedere il calcio, saranno simili a quelle di Genova, con il Pescara e forse in parte con l’Inter, magari con l’Inter qualcuna in più, ma in realtà molto dipende da quello che noi faremo e da come saremo. Con tutto il rispetto per le altre squadre questa è una dichiarazione che non riguarda in particolare il Siena, ma il campionato in generale. Noi per principio dobbiamo cercare di proporre e quindi non avrà importanza chi avremo davanti, poi è chiaro che di volta in volta si dovranno affrontare le difficoltà che dipendono dalle qualità e dall’atteggiamento tattico della squadra avversaria. Per quello che faremo domani vediamo, quando è ufficializzato l’atteggiamento e la formazione degli avversari io non ho nessun problema a dire la mia formazione, ma prima non ha senso. Abbiamo mandato a giocare con la Primavera che incontrerà in amichevole il Cuneo, che è una buona squadra di Lega Pro prima divisione, Diop e Migliorini, perché hanno bisogno di giocare novanta minuti, e Caceres perché questa sarà la sua prima amichevole e starà in campo fino a quando ne avrà la forza. Chiaramente domani con il Siena sarà diverso rispetto all’amichevole di Sappada perché entrambe le squadre erano reduci da carichi di lavoro elevati e poi ci sono state anche una serie di situazioni extra-calcistiche che hanno cambiato il quadro. Il meno sei all’Atalanta aveva avuto un effetto assolutamente stimolante, quindi si presume che il Siena per recuperare il meno sei e noi il meno uno dovremo dare il cento e uno per cento. E’ la prima partita di campionato quindi c’è voglia da parte di entrambe le squadre di fare la partita e andremo a capire, per quel che ci riguarda, sempre più quello che vogliamo fare e chi siamo. Siamo una squadra che ha voglia di crescere e questa avviene attraverso l’esperienza che si fa sul campo sia grazie alle cose positive sia agli errori. La tappa di Siena è l’inizio di un lungo percorso dove faremo cose buone e cose meno buone, cercando sempre di capire il perché nel bene come nel male. Domani sarà l’inizio di una lunga corsa a tappe dove quello che conta sarà il traguardo finale”.

Come vede l’allungamento della panchina a dodici elementi?
“Qualunque risposta lascia il tempo che trova, ma mi ha fatto ridere la dichiarazione di Cosmi che ha detto che è la soluzione giusta per gli allenatori senza attributi e forse c’è un filo di verità. Quando si portano due difensori, due centrocampisti, due esterni e due punte si è coperto ogni ruolo. Certo che con una panchina lunga si ha la possibilità di modificare tatticamente la partita se si hanno idee e giocatori idonei, ma se poi ne possono entrare solo tre ….”.

A questo Torino manca ancora qualche cosa? Il presidente Cairo in un’intervista rilasciata a “La Stampa” e pubblicata oggi ha detto che le ha dato quasi tutti i giocatori che aveva richiesto, l’ottanta per cento.
“Il problema è la parola quasi, non ho ancora letto l’intervista, ma quasi significa che se c’è l’ottanta per cento, manca il venti, questo ovviamente non lo dico io ma è detto nell’intervista. Non so se arriveranno i giocatori per coprire il venti per cento che manca, se dipendesse da me sarebbero già qui; questo bisogna chiederlo a Cairo. Qualcuno che volevamo è andato altrove, ma sono cose inerenti al passato. Io avevo chiesto ufficialmente Robinho (sorride, ndr) ma è rimasto al Milan, comunque Robinho non era scritto sul foglietto con la formazione ufficiale. E’ indubbio che si stia lavorando in sinergia con la società oggi fra serie B e A c’è una differenza tecnica ed economica mostruosa e ci sono dei club che vivono solo perché sono in serie A, le società di A producono denaro e questa categoria è un bene talmente prezioso che non bisogna lasciare niente di intentato per far si che ci sia continuità di categoria. E’ evidente che poiché la categoria produce denaro se si ha intenzione, voglia e intuizione di iniziare a fare un discorso di programmazione, questo non è riferito a Cairo, ma in generale, lo si può fare solo una volta che si è in A perché quando si è in B si può solo programmare di andare in A. Secondo me se si programma solo la salvezza in serie A si è destinati a salvarsi oggi, ma a retrocedere domani: ogni anno si deve fare il campionato che ci si è prefissati e sfruttando i dieci mesi tra una stagione e l’altra per accrescere le conoscenze sui calciatori in modo da avere le intuizioni giuste per programmare al meglio la stagione successiva, in modo da produrre risultati sportivi ed economici nel tempo. Queste sono solo parole poi devono esserci i fatti e solo il tempo dirà se ci sono. Io sono contento di essere qui e vi ho fregati tutti (sorride, ndr) perché nessuno pensava che alla prima di campionato si sarei stato ancora, vi chiedo scusa e vada come vada cerco di resistere e faccio anche la gara con il Pescara poi finisce tutto (risate generali, ndr). L’estate scorsa c’erano le scommesse nei bar sul fatto se arrivavo a settembre e chi si azzardava a dire che sarei restato fino a novembre lo ricoveravano al neurodeliri e invece sono qui a settembre dell’anno dopo, perdonatemi mi sono montato la testa a fine agosto, questo è un bel segnale non per me, ma poiché vuol dire che è stato giudicato positivamente quello che è stato fatto”.

Con domani sera lei diventerà l’allenatore più longevo dell’era Cairo.
“Chiedo alle signore in sala cortesemente di girarsi un attimo. Questa è una gufata pazzesca. Si sta scherzando naturalmente, ma ho firmato un contratto biennale e fra qualche mese appena la palla inizierà a frullare sarà prolungato di un anno. Non sono solo il più longevo, ma diventerò praticamente irraggiungibile (risate, ndr)”.

C’è differenza fra B e A e quindi a Bianchi chiederà un tipo di gioco diverso?
“C’è differenza fra le due categorie sul piano qualitativo, dell’esperienza e delle conoscenze. Però questo nulla toglie che questa squadra con un anno alle spalle di lavoro e la grande disponibilità sempre dimostrata ha, secondo me, acquisito conoscenze che le permettono oggi di poter colmare il gap con squadre tecnicamente, economicamente, per storia ed esperienza più forti, su questo non ci sono ancora tutte le certezze, ma si potranno avere strada facendo se ci rimarrà un pizzico di serenità intorno. Noi vogliamo colmare questo gap attraverso le conoscenze, la voglia di fare calcio e la capacità, mi auguro sempre maggiore, di leggere e adeguarci alle situazioni perché il gap non lo si colma sperando, ma sapendo e stiamo lavorando in questa direzione. Per quel che riguarda Bianchi qui non è che uno deve cambiare modo, bensì migliorarsi perché, e lo dico non riferito a Bianchi, ma a qualsiasi calciatore, se si sa fare una cosa e poi si amplia il proprio bagaglio di conoscenze è meglio per la propria carriera e se ne avvantaggia anche la squadra. Bianchi oggi è sicuramente un giocatore diverso da quello dell’anno scorso come sono nettamente migliorati Sgrigna, Darmian e tanti altri. Migliorati significa se in certe partite bisogna fare determinate cose e loro sanno leggere le situazioni e comportarsi di conseguenza. Ieri, per far capire, abbiamo provato delle situazioni che lo scorso anno impiegavamo due giorni per metterle a foco, invece, sono bastati venti minuti. Questa è la crescita, poi non significa vincere o perdere le partite, ma essere consapevoli di quello che si è e che si sa fare e se manca ancora qualche cosa per diventare”.

Un commento su Cerci?
“E’ un giocatore che volevamo perché ha sulla carta le caratteristiche per fare bene con noi. Ma per lui vale lo stesso discorso di Bianchi e di tutti gli altri. Le caratteristiche devono essere accompagnate dalla stessa disponibilità, umiltà, rabbia e voglia che ha questo gruppo. Cerci è un giocatore che ritenevo utile per il Torino e quindi sono contento che sia arrivato”.

Fra qualche ora inizierà il campionato lei si sarà fatto un’idea, che dovrà essere verificata nel corso della stagione sul campo, sul valore delle varie squadre e di conseguenza dove può collocarsi questo Torino a prescindere dagli obiettivi?
“Non si sa, faccio un esempio, la reale forza della Fiorentina che ha cambiato l’allenatore e otto-nove giocatori, l’anno scorso si è salvata all’ultimo e magari quest’anno lotta per la Champions. Direi che in questo campionato si sono persi dei giocatori di livello come Ibrahimovic, Thiago Silva, Del Piero, quindi ci saranno più squadre con le quali competere, perché di solito è il grande campione che risolve i problemi in partita. In generale quindi si giocherà più di squadra che non con i singoli. Molte squadre lotteranno per la salvezza, al di là delle penalizzazioni che di pesanti c’è solo quella del Siena, perché un po’ di livellamento c’è. La Juventus è in assoluto la più forte, devo dire purtroppo poiché alleno qui, perché ha fatto una campagna acquisti mirata ed è reduce da una vittoria e di conseguenza ha la mentalità vincente, sicuramente qualcuno proverà a contenderle lo scudetto. Sarà affascinante la corsa alla Champions e insieme a Inter e Milan ci saranno sicuramente la Roma e il Napoli e una squadra sorpresa. Tutto il resto è legato a quisquilie, se vanno male due risultati entri nel calderone, se ne vanno bene due diventi la rivelazione. Tutto questo lo stabilirà il tempo. Nel mio primo anno di A a Cagliari facemmo risultati importanti vincendo con Juventus, Inter, Milan e il Parma di Buffon, poi perdemmo cinque partite consecutivamente e quando accade l’allenatore rischia, invece, Cellino non solo non mi mise in discussione, ma riaffermò la sua fiducia e sfiorammo l’accesso in Europa. Ed è lo stesso che succedette il primo anno di A con il Bari. Proviamo a immaginare cosa accadrebbe a livello ambientale dopo cinque sconfitte dove non c’è una base di sostanza, la crescita è anche questo. Alle volte dopo due sconfitte si viene messi in discussione, così cade il punto di riferimento dello spogliatoio ed è la catastrofe perché si perde la possibilità di programmare e di fare calcio. Quando l’anno scorso parlavo di creare l’ambiente mi riferivo a questa stagione se fossimo arrivati in A: ambiente che è consapevole delle difficoltà, ma anche del lavoro e della serietà. Se si dice questo e la squadra è allo sbando allora c’è qualche cosa che non va, ma se dopo due sconfitte la squadra continua a produrre è evidente che alla lunga raccoglierà.
Dove può collocarsi il Torino non ne ho la più pallida idea. L’anno scorso avevamo due obiettivi: la serie A e ricreare. Sulla carta, direi, che li abbiamo centrati entrambi. Oggi abbiamo altri due obiettivi: restare in A e ritagliarci uno spazio. Non parlo di ridare entusiasmo perché quello a Torino c’è e la gente ha solo voglia di tirarlo fuori. Ritagliandoci uno spazio da protagonisti in un campionato difficile come la A è evidente che andiamo a innaffiare e rinverdire l’entusiasmo che è nato l’anno scorso. E vorrei che il Torino si ritagliasse questo spazio perché significa che non parlo della vittoria uno a zero risicata, ma del modo di giocare del Torino e dell’immagine di sé che esporta, del ritorno del Torino nel campionato di serie A e di quello che fa sul campo e non dei proclami e delle polemiche. Proporre calcisticamente è l’esportazione dell’immagine di una squadra che gioca. Quando si parla del Torino, al di là della sedia di Mondonico, si parla delle vittorie dello scudetto, del Grande Torino, dei dribbling di Meroni, si parla sempre di calcio e mai di altre cose. Ecco, vorrei che di questo Torino si parlasse del calcio che fa sul campo”.

C’è qualche cosa che vuole dire ai tifosi in questa vigilia di campionato?
“Noi l’anno scorso volevamo parlare alla gente, ma non potevamo farlo che con i fatti perché non c’era la possibilità di farlo a parole poiché c’era una discreta chiusura per varie vicissitudini. Comunicare con i fatti significa essere più forti di quanto succedeva: alla prima sconfitta nonostante fossimo primi in classifica si è subito parlato di spogliatoio frantumato, al primo pareggio di disastro totale. Per un anno intero si è parlato di una squadra, che in mezzo a mille difficoltà che obiettivamente cerano, è stata in testa dall’inizio alla fine del torneo, che ha avuto la miglior difesa, che ha cambiato il proprio modo di essere, che è passata dai venti gol di Bianchi al vincere il campionato con una settimana d’anticipo. Quindi non c’era più il singolo, ma una squadra che giocava e il singolo diventava protagonista all’interno del gruppo. Io spero che il lavoro fatto l’anno scorso sia servito sia servito per riuscire in questa stagione a fare un passo in avanti nella comunicazione. Ci sono state delle vicissitudini anche questa estate: mercato fatto o non fatto, riuscito o meno. Però invariata è la serietà, la professionalità e la voglia di voler non come in passato giocare nel Torino, ma giocare per il Torino. Oggi molti giocatori sanno cosa vuol dire indossare la maglia granata, hanno capito cosa vuol dire la parola Storia, non pensano solo a disputare una buona partita, ma vogliono essere protagonisti all’interno di una squadra che ha una Storia. Sembrano sciocchezze perché sono concetti un po’ astratti, ma forse sono proprio le cose che si erano perdute e che sono state recuperate. Voglio far sapere alla gente che noi vogliamo che si sentano orgogliosi di questa squadra, che dovunque vada la gente sappia che noi portiamo la maglia del Toro consapevoli di quello che rappresenta e delle responsabilità che abbiamo”.

Che percezione ha lo spogliatoio dell’ambiente inteso non solo come tifosi?
“Non so dirlo, perché non entro mai nello spogliatoio, non ci metto i piedi per principio, quindi non so cosa pensino, ma so cosa pensiamo: si aspettano quello che ho detto, poiché abbiamo voglia di dare. Poi se ci riusciremo o meno e quanto non lo so”.