Ventura cita De André: "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori"
Intervistato da La Stampa, Giampiero Ventura si muove a tutto campo tra i ricordi in blucerchiato, l'amore per Genova evocato dal mare, dal pesto e dai versi in musica del poeta Cristiano De André, senza dimenticare l'impellenza legata al mantenimento del primo posto nella classifica cadetta.
Giampiero Ventura, il Toro va a Marassi da capolista contro la Sampdoria. È un vantaggio in più?
«Conta poco, anche perché questa partita arriva troppo presto. Sarà particolare, tutte e due hanno l'ambizione di salire, ma alla settima giornata non dirà tutto. In ogni caso sarà una sfida bella da giocare e ci darà le prime risposte chiare».
Come vive il derby del cuore?
«Con il piacere di tornare a Genova: la città in cui sono nato, in cui vivo e dove sono felice. Non lo chiamerei derby: mica sono del Genoa».
Cresciuto nella Samp sia come giocatore che come allenatore, che accoglienza troverà?
«C'è chi mi urlerà contro e chi mi applaudirà: fa parte del gioco. Ho passato la vita nella Samp: sono entrato a 14 anni nel vivaio e poi ho iniziato ad allenare lì fino ad arrivare alla prima squadra...».
Dove è stata confermata la regola: «nessuno è profeta in patria».
«Esatto. Nel 1999-2000 la presi retrocessa in B e non arrivò la promozione per un punto, dopo esser stati in testa per sette mesi. È una ferita aperta e quella vicenda mi ha cancellato la carriera».
Venerdì sera può rifarsi, almeno parzialmente...
«Il passato è passato. Però la Samp mi ha dato anche lavoro e visibilità. A 28 anni mi sono dovuto fermare da calciatore per un'ernia al disco, che all'epoca si operava col machete. Ma è stata la mia fortuna: ho iniziato ad allenare in blucerchiato diventando il secondo di Canali, Giorgis e Toneatto. E poi ho avuto l'onore di esser stato il primo allenatore scelto da Paolo Mantovani: un grande uomo e un grande presidente».
Il flash più bello da sampdoriano?
«Dovrei dire lo scudetto, ma in mente ho ancora stampata la stagione 1960-1961: ero un ragazzino e giocavo prima delle partite di quella Samp che arrivò quarta in serie A. Batté la Juve di Sivori e l'Inter di Herrera con 4 gol di Brighenti, poi capocannoniere. Libidine vera, la formazione me la ricordo ancora tutta a memoria».
Qual è la fotografia della Genova di Ventura?
«Non è una bella cartolina, ma la Cornigliano con l'Italsider. Sono nato lì e ho subito capito cosa significava il lavoro, la disperazione, il sacrificio e le camicie bianche che diventavano nere dopo 10 minuti per la fuliggine. Ho ancora negli occhi quelle persone e ho fatto di tutto per uscire dal natìo borgo selvaggio: il calcio mi ha aiutato».
Cresciuto in un quartiere operaio, si spiega anche così il suo Toro operaio con 20 titolari?
«È riduttivo, il Toro è una squadra. Essere umili non significa essere necessariamente operai, ma vuol dire avere i presupposti per diventare grandi. E il gap lo colmi con idee, sacrifici e fame».
Giochiamo con i suoi sensi genovesi. La vista?«L'azzurro del mare, la mia casa di Nervi è tutta bianca e azzurra».
L'olfatto?
«Il profumo della salsedine».
Il gusto?
«Il pesto».
Il tatto?
«Il mare: non potete sapere quanto mi manca, ma forse a Orbassano aprono un lido per me...».
L'udito?
«Il rumore tremendo di Cornigliano, tra fabbrica e traffico. Era il posto col più alto inquinamento acustico d'Europa, e ne ho sofferto così tanto che ora cerco sempre il silenzio».
Fuori il silenzio, dentro la musica. Ascolta sempre De Andrè?
«Sì, ma la canzone che mi rappresenta è “Vedi cara” di Guccini: lì dentro c'è la mia vita».
Visto che il Toro gioca a Genova, si deve ispirare a "Crêuza de mä" per salire sulla mulattiera che poi porta al mare?
«La similitudine è azzeccata: stiamo aprendo una strada, una fessura. Sappiamo che troveremo ostacoli, e dovremo spostarli, perché le vie piccole e strette sono impervie e in salita. Però poi arriverà la discesa».
Stiamo modificando il "Se vogliamo, possiamo"?
«No, quello non si tocca. Ma voglio restare con De Andrè, e cito un suo classico visto quel che abbiamo passato: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori».