Pjaca: “In campo sembro avere la faccia arrabbiata, ma è perché sono serio. Per rimanere a certi livelli serve disciplina”

19.01.2022 14:00 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Torino Channel
Marko Pjaca
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Marko Pjaca
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Marko Pjaca si è raccontato ai microfoni di Torino Channel. Ecco che cosa ha detto

C’è molta curiosità da parte dei tifosi su di lei che ha ricevuto subito molta fiducia e tanta voglia di sapere di più anche della persona. Che bambino era?
“Ero un bambino molto vivo e con tanta energia e mi piaceva lo sport e giocavo sempre a calcio o a basket. I miei genitori hanno saputo da subito che avrei praticato qualche sport, ma all’inizio non si sapeva che avrei scelto il calcio. I miei genitori e anche le mie sorelle hanno sempre fatto sport quindi era naturale che anche io lo facessi”.

E’ vero che da bambino lei no piangeva mai e aveva un carattere molto forte ed equilibrato?
“Mai, no (sorride, ndr). Però poco, sì avevo un carattere forte e spesso mi arrabbiavo quando piangevo”.

E con le sue sorelle che rapporto aveva quando eravate piccoli?
“Loro erano più grandi e facevano tutto ciò che c’era da fare per me se non c’era la mamma a casa c’erano loro due. Se dovevo fare a casa qualche compito di suola mi aiutavano. Per me non poteva esserci di meglio”.

Quindi ha avuto una bella infanzia?
“Bellissima”.

Dove ha vissuto? In un quartiere vicino al centro di Zagabria, giusto?
“Sì, diciamo a un quarto d’ora dal centro. Ho avuto un’infanzia molto tranquilla e andavo a scola lì”.

Lei esulta n modo molto particolare (mani aperte a fianco delle orecchie e lingua di fuori, ndr), deriva da qualche cosa di quando era bambino?
“No, era una scommessa tra gli amici quando ero alla Dinamo: dissi che avrei fatto così quando avrei segnato il prossimo gol ed è rimasto così”.

Quanti anni aveva?
“19-20”.

E continua ad esultare così?
“Esatto”.

E’ vero che gli amici e i compagni la volevano tutti in squadra perché era già fortissimo da piccolo?
“Sì (sorride un po’ imbarazzato, ndr). A scuola e anche quando ho iniziato a giocare si vedeva che ero forte. Al mare c’era una sorta di buco dove si doveva mettere la palla e sono andato un paio di giorni di seguito e ho sempre infilato la palla nel buco e così ogni giorno mi hanno regalato cinque o sei maglie”.

Chi le ha trasmesso la forza di volontà e il sacrificio? La mamma e il papà?
“ Sì, anche le mie sorelle. Cerco di essere sempre positivo e di ridere tanti, però quando ci sono cose da fare sono abbastanza serio. In campo sono molto serio e sembra che abbia la faccia arrabbiata, ma nella vita cerco di essere molto positivo e tranquillo”

La disciplina quanto conta per un atleta?
“Tanto, senza la disciplina puoi diventare forte però se vuoi rimanere a certi livelli devi avere disciplina, secondo me”.

Lo sport è un affare di famiglia per voi: suo parte è stato campione di lotta, sua madre che è un medico era nazionale di judo e le sue sorelle cosa fanno?
“Pallavolo e nuoto sincronizzato. Papà faceva lotta e mamma judo, ma non mi hanno costretto a fare i loro sport facendomi scegliere. Probabilmente il calcio era lo sport più famoso e seguito a casa e io lo guardavo tanto e mi piaceva e allora ho scelto di praticarlo”.

A scuola le piaceva andare?
“Da noi da 1 a 5, cinque è il massimo, e alle elementari ho avuto sempre 5 e poi nelle medie 4 e qualche cosa, però sempre bene”.

Un po’ secchione lo era. Quali erano le materie che le piacevano di più
“Storia e sport”.

Se non avesse fatto il calciatore cosa avrebbe fatto?
“Basket, probabilmente”.

Con il primo stipendio da calciatore che cosa ha fatto?

“Niente, perché non guadagnavo tantissimo. Però ho sempre dato i soldi ai miei genitori e alle mie sorelle quindi per prendere un appartamento per le mie sorelle e poi mi sono comprato la macchina e un appartamento anche per me”.

Lei ha una moglie e state insieme da 5 anni?
“Sì, è vero. Da tre anni viviamo insieme e lei è molto importante per me e mi sostiene sempre. Questa è una parte della mia vita molto importante, come lo sono anche i miei genitori e le mie sorelle”.

Di solito i calciatori cercano di crearsi una famiglia molto presto rispetto ai loro coetanei. E’ importante avere questo tipo di stabilità?
“Sì, secondo me  è importante perché dà tranquillità e si può vivere sereno . Dipende dalle persone, però quando non si ha una compagna o una moglie, forse, ci si distrae un po’ e si vuole uscire e fare festa, cose del genere. Mentre così si è più tranquilli e sereni e si vive meglio”.

Lei festa e movida alla sera non ne fa molta? Non fa tardi alla sera, giusto?
“No, vivo una vita tranquilla e ovviamente se c’è da festeggiare vado con al squadra se festeggiamo tutti insieme, ma sono abbastanza tranquillo”.

Torino la conosce da tanto tempo, che cosa le piace?
“Da una parte è abbastanza simile a Zagabria, che è ma mia città, come abitanti e come grandezza sono simili. Ci sono tante cose da fare, ci sono tantissimi ristoranti ed è una città che ha tutto ciò che serve”.

Ha parlato di ristoranti, le piace la cucina?
“Sì, mi piace mangiare, (ride, ndr)”.

Dovesse consigliare un piatto della sua tradizione, quale sarebbe?
“E’ una domanda difficile”.

Sono tutti buoni?
“Mi piacciono tutti”.

A casa cucina sua moglie, vero?
“Sì, fa di tutto, anche le cose che non si trovano qui nei ristoranti”.

Ad esempio?
“Tutti dicono un piatto di carne alla grigia, ma descritto così è un po’ troppo generico. Sono cibi che si cucinano a casa come quelli che faceva mia mamma e sua mamma. Sono dei brodi che qui non si trovano”.

Lei è passato dal calcio croato a quello italiano quali differenze ha notato in campo e nell’ambiente?
“In campo qui c’è molta più tattica e il campionato è molto più difficile. Fuori negli stadi ci sono molti più tifosi e anche per strada ti fermano molto più spesso per fare una foto, avere un autografo  o parlare: queste sono le differenze più grandi”.

Noi italiani come siamo dal punto di vista calcistico?
“Secondo me gli italiani sono i più appassionati, per quello che ho visto io. Qui tutti i giorni della settimana si parla solo di calcio”.

Quindi anche nel tempo libero alla fine parla di calcio?
“Sì”.

Dal punto di vista giornalistico, qual è la pressione che voi subite?
“Qui c’è molta più pressione perché si parla sempre di calcio e se uno commette un errore se ne parla tutta la settimana. In Germania, ad esempio, appena finisce al partita è finita e non chiedono tante foto. In Croazia si parla tanto di calcio e ci sono alcuni stadi sempre pieni, però non tutti”.

Questa è una cosa che le fa piacere quando la fermano per un autografo?
“Sì, mi fa piacere ovviamente. E’ una piccola cosa che all’altro fa piacere e magari è un ricordo per tutta la vita”.

E’ vero che lei non ha tatuaggi?
“E’ vero, nessuno”.

Oggi ci si stupisce se un calciatore non ha tatuaggi. In futuro potrebbe farne uno?
“Non dico di no di sicuro, ma probabilmente no”.

Juric, Brekalo, Pjaca, siete tutti atleti che avete una grande cultura del lavoro. Forse un tempo si pensava che il calciatore che arrivava dai paesi dell’est fosse più creativo di disciplinato, ma notiamo che ci sono entrambe le caratteristiche. La disciplina è fondamentale?
“Sì, certo. Secondo me è rimasta la creatività, però ormai i calciatori no possono permettersi di non essere disciplinati e molto concentrati sul lavoro. Forse prima potevano farlo perché i tempi erano diversi. Si correva meno, era tutto diverso. Oggi se non sei un professionista e non sei disciplinato, secondo me, non vai da nessuna parte”.

Cosa intendete per disciplina? Si sa che avete un’alimentazione molto controllata, il sonno e il riposo. Lei su cosa punta maggiormente?
“Bisogna mangiare e dormire bene e non pensare a troppe cose che fanno distrarre dal calcio”.

Quando finirà la carriera da calciatore tutta la disciplina e la forza di volontà in cosa la convoglierà? Ha un’idea di cosa farà dopo?
“Non ancora, ci ho pensato tante volte, però è ancora troppo presto per sapere cosa vorrò fare. Magari il primo anno dopo la carriera farò riposo totale senza fare niente, però siccome da tutta la vita sono abituato a lavorare ogni giorno non potrò fare niente, quindi mi troverò un lavoro e vorrei comunque rimanere nel calcio. E’ troppo presto per sapere esattamente che cosa farò”.

Quali sono i momenti più complicati nella carriera da calciatore? Un infortunio o anche una brutta sconfitta?
“Direi l’infortunio perché ne ho passati parecchi. Penso sempre che sia successo per una ragione perché altrimenti se si pensa di essere l’unico sfortunato vai fuori di testa. Bisogna essere sempre positivo e pensare che sia successo e basta lasciandolo nel passato e lavorando sul quello che verrà”.

Poi dimenticare, tornando in campo senza la paura?
“Esatto. Secondo me, non bisogna avere paura perché può succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento”.

Quando inizia una nuova stagione per voi è come l’inizio di un nuovo anno solare per tutti gli altri e si fanno bilanci e si pongono degli obiettivi. Quando inizia una nuova stagione lei si pone degli obiettivi personali?
“Alcuni giocatori si pongono degli obiettivi come i numeri dei gol e degli assist, ma io non lo faccio. In questo momento voglio avere continuità, giocare ogni partita senza infortunarmi o che mene capitino il meno possibile. Voglio aiutare la squadra a fare bene in questa stagione”.

Non ha un obiettivo personale?
“No, non me lo pongo mai”.

nella sua carriera ha un bel ricordo al quale vorrebbe rivivere?
“La finale del Mondiale che abbiamo perso, purtroppo. La vorrei rigiocare e vincere e poi quando siamo tornati in Croazia e tutti i tifosi ci hanno aspettato. E’ stata una cosa bellissima, siamo andati dall’aeroporto fino alla piazza principale di Zagabria, ci sono volute sei ore per arrivarci, e c’era mezzo milione di persone tutte contente, come se avessimo vinto il Mondiale. E’ stato veramente bellissimo”.

Parlando della famiglia, in cosa vorrebbe che i suoi figli le assomigliassero?
“Che avessero la cultura del lavoro e che capissero che con il lavoro si può arrivare a ciò che si vuole raggiungere nella vita”.

C’è qualche cosa che vorrebbe che facessero di diverso da lei? O che non vorrebbe che prendessero da lei?
“A volte penso troppo alle cose, soprattutto se sbaglio qualche cosa. Prima si lascia una cosa nel passato e meglio è”.

Vorrebbe che i suoi figli avessero un po’ più di leggerezza?
“Sì”.

Ha già fatto un po’ di pratica, magari con un nipotino?
“Sì, ho tanti nipotini da Iva 3 e Martina 2, le mie sorelle. E poi ci sono anche i nipoti di mia moglie che sono altri 3. Siamo in tanti”.

Li vede spesso?
“Sì, li vedo quando vado a casa e lo faccio appena posso. Quando ci danno due giorni liberi ci vado e mi piace vedere la famiglia”.

Un giorno le piacerebbe essere un papà e avere una famiglia numerosa?
“Certo”.

Maschietti e femminucce?
“Sì, tutti e due”.

Dovranno fare sport?
“No, ma mi piacerebbe (sorride, ndr)”.

Venendo da una famiglia di sportivi riuscirà a trasmettergli questa passione.
“Spero di sì, ma se scelgono un’altra strada per me va bene”.

Pjaca ha poi concluso l'intervista con: “Un grande saluto a tutti i tifosi granata. Continuate a sostenerci come avete fatto finora e sempre Forza Toro”. Accompagnando il saluto con il gesto che usa per esultare quando segna e sorridendo.