ESCLUSIVA TG – Ponta: “La fiamma granata non si è spenta. Il Toro ha sempre rappresentato un riferimento con cui misurarsi per le altre squadre”

Gianni Ponta è stato intervistato in esclusiva da TorinoGranata.it. Ponta, tifoso del Toro, è l’autore del libro “Granata colore del mito” edito da Genesi Editrice e con prefazione di Claudio Giacchino. Il libro che ha come sottotitolo “dal quarto d’ora granata del Grande Torino ai tre minuti del Toro di Dossena” narra “la storia del Toro con l’amore tifoso che vince su qualunque delusione. E’ una miniera di pepite che si scoprono avanzando di capitolo in capitolo dai tempi eroici del primo scudetto all’epopea degli Invincibili vinti solo dal fato a Superga agli anni difficilissimi dopo la tragedia, alla resurrezione grazie a Orfeo Pianelli, il presidente del più grande Toro dopo i leggendario squadrone di Valentino Mazzola, all’ultimo Toro capace di regalare gioia, quello di Emiliano Mondonico conquistatore della Coppa Italia nel 1993 e derubato del trionfo l’anno precedente in Europa, la Coppa Uefa rapinata dalla storica sfortuna granata che ad Amsterdam si manifestò nei tre pali che negarono la vittoria sull’Ajax – scrive Giacchinio -. … Con il cuore Ponta ha raccontato il Toro. Il cuore di un tifoso che la notte di Bilbao, l’unico bagliore di gloria nel ventennio grigio dell’era Cairo, lo visse lontano. …. questo ennesimo libro sulle maglie granata, che arando un campo arato a dismisura, si è rivelato felice sorpresa per quanto è ricco di aspetti inediti (notevoli al riguardo anche i due album di immagini) e di amore. Il cuore appunto tifoso dell’autore. Un tifoso sempre equilibrato, mai furente, saggio. Della saggezza di chi, navigando un oceano sempre tempestoso, tra innumerevoli dolori ha trovato anche non poche gioie. Che è poi il privilegio di chi ama il granata, il colore del mito”.
Con Ponta, prendendo spunto dal libro, abbiamo parlato del Toro di ieri e di quello di oggi.
Il Torino è una squadra unica nel suo genere e la sua storia si può dividere in quattro o cinque parti: dagli inizi alla tragedia di Superga, poi fino allo scudetto del 1976, il periodo successivo fino al fallimento e gli ultimi 20 anni, concorda?
“Su queste quattro parti sono d’accordo, ma io aggiungo, come ho fatto nel libro, una quinta che va da dopo la tragedia d Superga e abbraccia il periodo della faticosissima rinascita fino quindi agli anni 60 di Moschino. Poi dopo entra dentro la società la figura leggendaria del Dottor Beppe Bonetto, che, secondo me, è l’architetto di un Toro grande, anzi due, perché non dimentichiamoci che ci rubarono letteralmente lo scudetto del 1972 e poi c’è l'epoca moderna”.
Ecco in questi periodi c’è una differenza abissale tra i primi tre-quattro e l’ultimo perché i primi sono impregnati dall'essere una realtà profondamente, fortemente granata e l'ultimo che è una cosa diversa dai precedenti. Lei nel suo libro “Granata colore del mito” ha affrontato da un punto di vista soprattutto emozionale l'essenza del Toro. Cosa l’ha spinta a fare questo?
“Guardando le foto, parto di lì ma ci arrivo subito e non la prendo troppo alla lontana, si vede che nel secondo blocco la prima foto è del derby del 26 marzo del 1972, per me quel giorno è stato una rivelazione. Mi ricordo di essere andato a scuola il giorno dopo, facevo la terza media, e per me quella mattina è stata diversa perché ho provato perla prima volta di essere un tifoso del Toro. Prima non posso dire che ero stato tifoso del Torino, nel senso che fino a 14 anni raccoglievo le figurine e mi interessavo nel suo complesso a tutto il mondo del calcio perché mi piaceva, ma non tifavo per nessuna squadra in particolare. Ebbene dopo quel derby mi è scattato qualche cosa quando alla sera ho visto lo spezzone del derby nella trasmissione delle 19 dove facevano vedere il primo o il secondo tempo della partita più significativa della giornata. E quella foto, ritagliata dal Calcio Illustrato del 1972, l’ho conservata. Ho sempre avuto una vita molto intensa dal punto di vista personale e professionale e da allora il Torino me lo sono portato dietro come passatempo e affetto sportivo antistress. Infatti quando avevo una pressione esagerata, ovunque io fossi soprattutto all'estero, pensavo ma intanto noi abbiamo il Torino. Ho ascoltato molti aneddoti e fatto molte letture, devo molto all'influenza di mio zio, e c'è una foto che fu pubblicata nel Guerinissimo del 1943 lasciatomi appunto da mio zio, nel primo album, dove Mastro Rebuffo cambia le mezze ali a Venezia è questa immagine è rimasta lì sedimentando dentro di me e a un certo punto, avendo tempo, ho voluto condividere le mie emozioni e i miei sentimenti scrivendo questo libro. C'è un libro di un autore che chiama questo periodo “anni del calcio liquido”. Anni in cui tutto sembra scindersi in poche squadre che hanno uno strapotere spaventoso e altre, tra cui il Torino, che fanno fatica a sopravvivere. Ecco io volevo descrivere la bellezza del dono che abbiamo noi che abbiamo visto certe cose e continuiamo a raccontarle”.
Anche solo scorrendo l’indice si vede che lei ha toccato vari momenti della storia granata, tutti significativi e pregnanti. Ma della storia del Torino lei cosa ritiene più pregnante e che sia utile a chi non è del Toro o non ne conosce approfonditamente la storia che cos'è davvero il Toro?
“Qualche personaggio. Se dovessi sceglierlo, il primo sarebbe Ellena perché la sua vita spiega tantissimo del Torino. Ellena è l'uomo che va a vedere Pulici a Firenze, dopo che Herrera lo aveva bocciato dicendo che era buono solo per i 100 metri e quelli della Fiorentina la pensavano nello stesso modo. Ebbene Ellena non dice niente a nessuno però telefona al Torino e dice di Pulici “lo portiamo a casa e lo facciamo diventare un giocatore”. Tutti ricorderanno il famoso racconto che dice che Ellena e Ussello obbligavano Pulici a giocare 75 minuti a metà campo e poi scatenarsi in attacco solo alla fine delle partite in modo che imparasse palleggio e fraseggio. Per me Ellena è un gigante, la sua vita, il suo ricordare Gabetto e l’aneddoto che dopo un derby nel quale lui gli aveva rifilato un calcione e Gabetto invece alla sera incontrandolo al caffè gli disse “fa nen tant ‘l farloc, vieni qua e beviamo insieme” per dire quanto buono fosse d’animo. Un altro gigante è il Dottor Beppe Bonetto che agiva dietro le quinte. Ormezzano disse di lui “se nascesse adesso non sapremmo dove metterlo” e penso che questo sia il complimento più bello che si possa fare a un dirigente del calcio. Ovviamente si può parlare di Pianelli, di Marone Cinzano, ma queste due persone sono davvero significative così come Ferrini, perché se Ferrini e Cereser non ci fossero stati il Torino non avrebbe nuovamente potuto assurgere agli onori sportivi, perché, non dimentichiamoci, che erano anni grigi, ma il Torino arrivò terzo negli anni 60 dietro alle milanesi che dominavano il calcio mondiale e riuscirci è stata era una roba stratosferica visto che giocatori avevano. E aggiungo anche Radice che ci ha fatto vincere di nuovo lo scudetto, non che Giagnoni non sia stato importante essendo stato il primo che ci ha fatto sentire di poter essere competitivi, prima eravamo passati attraverso i Cadè, i Rocco, ma Rocco aveva messo in pausa il Milan ed è venuto a Torino, ha fatto qualche cosa però poi è tornato a Milano dove, come scriveva Ormezzano, aveva le cose sue. Fra i calciatori metto anche Claudio Sala che per me è stato il più grande giocatore che abbia mai visto. Infatti senza Claudio Sala noi non saremmo stati campioni d’Italia. Molti celebrano altri calciatori del nostro ultimo scudetto e, per carità, è doveroso e anche io ne considero altri strepitosi come Castellini che era un sogno, ma senza Claudio Sala non so se avremmo vinto lo scudetto. Ero un ragazzo, Gentile, che annullò Maradona e Zico, a Claudio Sala poteva solo strappare la maglia, infatti non è mai riuscito a fermarlo. Dal ‘75 al ‘77 penso che Claudio Sala sia stato il più grande giocatore d'Europa, poi giocava nel Torino e quindi il pallone d'oro o la Nazionale non gliela potevano dare”.
Rispetto a tutto questo c’è un abisso con il Torino di oggi. C’è qualcosa che riesce a vedere nell’attuale Torino Fc di quel Torino?
“Sì. Mi sono commosso per il successo dell'Under 17 e 18 che hanno vinto nella scorsa stagione i rispettivi scudetti. Credo che in un calcio così difficile come quello di oggi una persona come Ludergnani faccia un lavoro straordinario, considerati i limiti intrinseci e le difficoltà di muoversi e di andare a prendere qualche bravo ragazzo in giro per il mondo, perché ormai si tratta di andare in giro per il mondo. Penso che nel settore giovanile, a cominciare dalla dedizione del commendatore Beretta, il Torino abbia ancora tanto del Torino di una volta. Non conosco neanche i collaboratori delle giovanili, ma probabilmente sono persone che fanno del bénévolat, come si dice in francese, che si dedicano al Torino extra lavoro e vita privata, quindi sacrificandoci del loro. Ed è in questo che vedo uno spirito del Torino che non tramonta mai ed è una cosa stupenda.
Un'altra cosa, è ogni volta che vedo Emiliano Moretti in tribuna. Penso che questo significhi tanto. Andai a Washington per lavoro, e quando atterrai accesi il telefono per dire a mia moglie Paola che ero arrivato e lei mi mandò una foto di Moretti con un punto esclamativo: Moretti aveva appena segnato di testa a San Siro su spizzata di Maxi Lopez. E ‘in queste cose che anche oggi continuo a vedere il Torino di una volta”.
Parlava del settore giovanile, e il Torino ne aveva uno che produceva giocatori che poi andavano in prima squadra oppure ceduti in tante altre squadre di Serie A. Per decenni se si scorrevano le formazioni si trovavano spesso titolari o in panchina tanti calciatori che provenivano dal settore giovanile granata. Oggi invece in prima squadra non ci sono quasi giocatori cresciuti nelle giovanili e al più i vari Gineitis e Njie hanno fatto qualche anno e non tutta la trafila, l’ultimo ad averla fatta è stato Buongiorno, ceduto poi al Napoli per fare cassa. E di giocatori che provengono dal settore giovanile granata in Serie A non ce ne sono o quasi e fanno fatica anche a ritagliarsi spazio in B. Questo oltretutto incide sulla formazione della squadra che è costituita da calciatori soprattutto stranieri che stanno un anno, due al più tre e se ne vanno. Forse anche questo è il problema attuale: una squadra che non riesce a fare quel famoso salto di qualità, ad alzare quell'asticella perché ha poco o niente delle proprie radici?
“Certo, hai toccato un punto nodale. Le grandi squadre o meglio quelle che durano nel tempo hanno uno zoccolo duro di 5 giocatori che per almeno un lustro non cambiano. Questo non viene capito, non viene valutato nel tourbillon del calciomercato che ormai dura 12 mesi all'anno, finisce il mercato estivo e si parla già di quello cosiddetto di riparazione. Cosa che mi fa ridere perché mi sembrano gli esami di settembre di una volta quando rimandavano di tre materie che si dovevano recuperare per non ripetere l’anno. Il mercato perpetuo ha chiaramente un'incidenza.
Estremizzo un po’, la mia idea di modello per il Torino è l'Atletico di Bilbao perché ha radici locali, ci sono orgoglio e senso d'appartenenza e vanno poco in giro a prendere calciatori, ma li crescono nella cantera. D'altronde il grandissimo Cruyff appena arrivato a Barcellona disse che bisognava costituire la cantera, e forse Cruyff capiva abbastanza di calcio”.
Cosa molto particolare del Torino è che è l’unica squadra che ha battuto l’Atletico Bilbao nel suo stadio. La famosa notte del San Mamés, il punto più alto toccato dal Torino negli ultimi venti anni. Tra l’altro se si legge quella formazione non c’erano dei top player, ma alcuni discreti e altri che erano onesti calciatori che però ci mettevano l’anima e pur non essendo cresciuti nel Torino rispecchiavano in pieno l’essenza granata.
“Ci sono due chiavi di lettura del mio libro. Ognuno quando ha un libro fra le mani lo sente diventare suo e lo legge diversamente da chiunque altro. L prima chiave di lettura è nel sottotitolo “dal quarto d'ora del Grande Torino ai tre minuti del Torino di Dossena” in una visione graffiante, rapinosa, rapida. Si possono leggere anche solo due capitoli per catturare lo spirito. L'altra chiave di lettura, alla quale ho pensato dopo aver scritto, è che guardando gli estremi temporali del mio libro, 101 anni dal 1914 con la tournée in Argentina con la foto di Mosso che ha il pallone in mezzo alle gambe con scritto “Tournée 1914” al 2015 con il San Mamés e il gol di Darmian. Ricordo perfettamente il bellissimo urlo di Pierluigi Pardo al gol, penso che Pardo ci voglia bene perché a dispetto di tanti critici, giornalisti asettici a cui non interessiamo lui quando parla del Torino cambia tono di voce.
Ma che cosa c'è dietro alla notte del San Mamés? C'è un uomo, criticato da molti ma che per me invece in quegli anni è stato un gigante, che al Torino ha ricoperto molteplici ruoli: Gian Piero Ventura. Ventura faceva tutto: il talent scout, il public relation, l'allenatore e tirava su dei giovani sconosciuti. Non poco, quello era un grande allenatore”.
Partendo da questo ricordo del momento più alto vissuto dal Torino negli ultimi venti anni, domenica ci sarà la sfida con l’Atalanta e prima una nuova marcia dei tifosi di protesta nei confronti del presidente Cairo. I tifosi più che i risultati, per carità vorrebbero vederne qualcuno soprattutto qualche vittoria nei derby oltre l’unica ottenuta, contestano perché non c'è più quello spirito granata, quel granata colore del mito, a parte in qualche frangente, si fa molta fatica a vederlo oggi. Lei da tifoso del Toro come si pone in rapporto a tutto questo?
“Vorrei che il mio libro andasse a fare rima con quella bellissima strofa di una delle nostre canzoni “La fiamma non si è spenta” e lascerei così questo discorso. Io volutamente non voglio entrare in questo discorso, ma non perché non sia importante bensì perché voglio portare un fiore di quel colore stupendo. Mi spiego, quello che succede adesso, secondo me, è ben seguito e ben analizzato, per quello che si può perché credo che sia tanto complicato capire il calcio moderno, da voi giornalisti. Ho in testa sempre 3-4 nomi di voi che andate alle conferenze stampa, che sento tutte, la tua voce Elena che di solito fai domande all’inizio, quella di Marco Bonetto che spesso le fa nel finale e in mezzo quelle di Fabrizio Turco e Gianluca Oddenino. Vi ascolto come insegnanti perché le vostre domande sono sempre pertinenti. Ma per me è importante che un libro come il mio non sia di cronaca perché sarebbe come rovinarlo e non era nel mio intento scrivere di queste cose. Il mio intento invece è raccontare a tanti ragazzi quello che non hanno visto e che ci sono state tante belle cose e persone.
Noi lo spirito granata ce l'abbiamo. Su WhatsApp il Torino ha 89 mila contatti e il e il Manchester City 27 milioni, che dire la si chiude lì perché a livello di potenza non c’è paragone. Giovanni Arpino scriveva che “siamo come un bello scoglio in mezzo al mare che guardano tutti”. In definitiva abbiamo sempre rappresentato un riferimento con cui misurarsi. Un giorno appena uscito il libro ero in campagna e ne ho regalato una coppia a un signore di Genova, un vicino, tra l'altro una persona molto sensibile che nella vita ha avuto grossi dolori quindi non un uomo banale. Ebbene questo signore è tifoso della Sampdoria, ma è stato contento di ricevere il libro. Lo ha sfogliato e mi ha raccontato che in passato aveva fatto l'arbitro delle giovanili e che tutte le volte che c'erano le squadre del Torino giocavano tutte nello stesso modo e i pari grado della Sampdoria non vincevano mai e i ragazzi del Toro non mollavano di un centimetro e gli avversari non potevano vincere. Per me è stato una complimento bellissimo di una persona che vede dal campo le partite”.
Se dovesse consigliare a un ragazzino delle scuole elementari di leggere il suo libro, i bambini magari quando leggono saltando un po' di qua un po' di là e difficilmente leggono dalla prima all’ultima parola, con quale capitolo dovrebbe iniziare e con quale finire?
“Dovrebbe iniziare con quello su Paolo Pulici e finire con quello su Valentino Mazzola”.
Perché?
“Perché c'è tutto, nel senso che a un adulto citerei i capitoli sui personaggi che avevo citato prima, Ellena e Bonetto, ma un bambino non avrebbe la pazienza di capire il lavoro di questi due straordinarie persone mentre invece capirebbe cosa ci ha dato Pulici: le emozioni che ci ha dato in quelle domeniche in cui c’era brutto tempo e non si usciva di casa però accendevi la radio e capivi che lui aveva già messo la palla in rete, magari in un modo impossibile per gli altri. E poi leggere che cosa è stato Valentino Mazzola. C'è una descrizione di Brera che fa venire la pelle d'oca, aveva una statura normale, calciava con entrambi i piedi, saltava più in alto di tutti, facendo il tuttocampista adesso li chiamano, come De Bruyne, giocatori box to box e che ha fatto 29 gol in una stagione. “Un tracagnotto con doti atletiche strabilianti. Scattava da velocista e correva da fondista. Tirava con i due piedi come uno specialista del goal. Staccava e incornava con mosse da grande acrobata, recuperava in difesa e impostava in attacco, e vi rientrava spesso per concludere. Era insieme i regista e il match-winner di una squadra che aveva pochissimi rivali al mondo. Un fenomeno di vitalità e dinamismo. Decideva le partite con straordinarie manifestazioni di carattere e di abilità prestipedatoria” così lo descriveva Brera. E poi al ragazzino raccomanderei il sottotitolo del libro perché dal quarto d'ora del Grande Torino, ai 3 minuti di Dossena. Ero allo stadio a vedere quel derby ho visto al nostro terzo gol le ambulanze della Croce Rossa arrivare sotto la Maratona perché la gente non ci stava più dalla gioia. Ho abbracciato 3-4 tifose, approfittando del momento essendo selettivo negli abbracci, e calmato un ragazzo che non capiva più niente e gli ho detto che rischiava di cadere di sotto. In quella partita noi fino al settantesimo eravamo irrisi con gli olé dei bianconeri in una maniera insopportabile, ne avevo quattro dietro di cui uno continuava a dire “Le Roi” e non ti dico cosa pensavo perché userei toni un po' troppo accesi, ma poi in quei 3 minuti non si può dire cosa sono stati con i gol di Dossena, Bonesso e Torrisi e abbiamo mancato il quarto gol con Bonesso, se no era 4 a 2. Quella Juventus era candidata a vincere la Coppa Campioni che poi persero ad Atene contro Magath dell'Amburgo, ma avevano i 6 campioni del mondo più bravi. Ho rivisto più volte il filmato di quel derby e il migliore in campo era stato Giuseppe Dossena da Milano Zona San Siro. Nel primo tempo Tardelli gli aveva dato un'ancata e un altro l'ha chiuso, ovviamente se fosse successo a uno di loro davano 5 giornate di squalifica al giocatore del Torino, ma per loro neppure un’ammonizione. Una cosa che mi ha sempre colpito rivedendo i filmati è che alla fine del primo tempo, con noi che eravamo sotto di un gol, Claudio Icardi intervistò Dossena che stava rientrando negli spogliatoi e con una calma olimpica Beppe si è girato verso il campo e ha detto: “Adesso vediamo di raddrizzarla nel secondo tempo, è mica finita”. Una sicurezza di un campione in un frangente in cui eravamo sotto, ma che risultò profetica. Dossena un uomo di una energia morale in quel momento spaventosa, quello è un leader di una squadra. Io che ero là a vederla mi sentivo stracciato e lui che giocava, che avrebbe avuto mille ragioni di sentirsi demoralizzato, era tranquillo perché non era finita la partita. Fu impressionante perché, secondo me, ti dava la dimensione della grandezza. E tornando indietro al quarto d’ora del Grande Torino, giocano a Roma e stanno perdendo 1 a 0, rientrano negli spogliatoi e due giallorossi si lasciano andare a dei commenti pesanti, così nello stanzone, Valentino Mazzola guarda i compagni e il risultato finale è stato 1 a 7 per noi. In quell’occasione Mazzola uscì prima della fine della partita poiché stava giocando con uno stiramento, mentre adesso se gli sfiorano una spalla si buttano a terra e si disperano e poi escono. Mazzola invece giocò nonostante fosse stirato”.
Presentazione del libro di Gianni Ponta “Granata colore del mito” venerdì 3 ottobre alle ore 18 presso il Circolo dei Lettori in via Bogino 3 a Torino. Interverranno l’autore, i giornalisti e scrittori Claudio Giacchino e Luigi Grassia, moderatore dell’evento Sandro Gross-Pietro.
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