Torino: adesso scegli la continuità...
Ieri sera ho assistito ad una splendida puntata di Toro Amore Mio, condotto egregiamente dalla brava giornalista Giancarla Tenivella con l'ausilio del veterano Aurelio Benigno.
Una trasmissione piacevole, ulteriormente elevata dalla presenza in studio di Marco Ferrante, granata vero, istinto e cuore ma pure ragione e intelligenza con una caratteristica sanguigna pregnante: non mandarle mai a dire.
E proprio Ferrante, ieri, argomentava numerose tematiche interessanti, tra cui quello di porsi un interrogativo stuzzicante: Perché – si è chiesto Marco-gol – tutti i giocatori pseudo affermati che il Torino compra da più di dieci anni a questa parte, inesorabilmente falliscono? Perché i vari Fiore, Di Michele, Recoba, Barone, Amoruso, Corini, Bianchi e ancora, andando indietro nel tempo, Andrè Cruz e Lucarelli, in qualche modo, chi un po' meno, chi di più, non riescono mai a garantire totalmente quanto di bello e buono hanno prodotto con le maglie delle squadre precedenti?
Ferrante non ha dato una risposta univoca. Non se l'è sentita. Ha abbozzato una presunzione. Quella della eccessiva pressione della piazza torinese e di una società incapace, nel corso del tempo, di scegliere preventivamente quei giocatori aventi un carattere compatibile con l'ambiente granata.
"Giocatori da Toro" – ha ribadito il pupillo dell'ex presidente Aghemo, anch'egli ospite ed artefice della presenza in studio del miglior attaccante granata dell'ultimo ventennio.
"Giocatori da Toro". Gente che non possegga soltanto il patentino di buon calciatore ma anche qualcuno compatibile mentalmente alla speciale maglia che indossa. Compatibile alle peculiari pressioni che Torino garantisce.
Qualcuno – è stato aggiunto – che sia poi successivamente seguito e guidato, passo dopo passo, da validi ed esperti dirigenti o collaboratori della società.
Figure abili a trasmettere sicurezze instillando nell'atleta stesso la sensazione di serietà e onnipresenza del club, la cui filosofia e politica sportiva deve ergersi al di sopra di tutto (critiche, polemiche, scandali…).
Figure che sappiano infondere stabilità e credibilità nella società così da scongiurare assunzioni di potere in seno allo spogliatoio da gruppi di calciatori spesso portati, nelle difficoltà, a scaricare le colpe sugli allenatori piuttosto che esaminare se stessi.
Una lacuna, questa, persistente nel Toro di Cairo che l'assunzione di un uomo esperto come Foschi ha attutito ma non colmato. Si dirà: manca un team manager. Verissimo. Ma non solo. Manca un direttore generale e, se vogliamo, un ufficio stampa che sia più cospicuo e non totalmente sulle spalle di una sola persona che, pur eccelsa nella sua professionalità, non può conservare il dono dell'ubiquità.
Manca, infine, una caratteristica fondamentale: la continuità.
Ed infatti, tornando alla trasmissione citata prima, bisogna ancora sottolineare come ieri sera sia stato criticato aspramente e giustamente l'operato di Pederzoli e Foschi anche se qualcuno ha avanzato pure l'idea di una ennesima rifondazione, auspicando l'allontanamento degli attuali direttori sportivi.
Ebbene, a nostro modo di vedere, niente di più sbagliato. Il Toro di Cairo fin'ora si è rivelato una "società usa e getta". Ogni minimo errore è stato pagato con il licenziamento.
Tutto ciò deve finire. Per costruire una struttura solida la società deve cementare delle basi stabili, uomini di spessore che non abbiano paura di sbagliare ma vogliano migliorare prendendo spunto anche dagli errori effettuati.
Cambiare Foschi o dare il benservito a Pederzoli significherebbe buttare nuovamente dalla finestra il lavoro di un anno.
Un progetto, un programma o come diavolo vogliamo chiamarlo, non si concretizza in sei o in dodici mesi, specie con le risorse finanziarie del Torino Fc. Si pianifica, si delinea e ancora dopo si inizia a realizzare, mattone dopo mattone, in molto, molto tempo. Quello che non ha avuto la pazienza di aspettare Urbano Cairo. Quello che dovrebbero saper attendere i tifosi.