Repubblica, gli invisibili del calcio. Parla un addetto del Toro, senza stipendio e cassa integrazione

21.06.2020 18:48 di  Marina Beccuti  Twitter:    vedi letture
Repubblica, gli invisibili del calcio. Parla un addetto del Toro, senza stipendio e cassa integrazione
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

La sua intervista a Repubblica ha destato sicuramente un allarme diffuso in tutto il mondo del calcio. Il signore i questione, uno degli 80p addetti del Torino Fc, ha rilasciato delle dichiarazioni utilizzando un nome di fantasia, ma ha avuto il coraggio di far emergere una situazione precaria di chi lavora nel calcio, ma non ottiene i lauti guadagni dei big e non hanno nemmeno uno stipendio da operaio, si fa per dire.

“Noi pensiamo di lavorare, ma in realtà siamo nel limbo. Quando fa comodo ci considerano dei lavoratori, quando non fa comodo ci considerano volontari. Vale per tutte le società di calcio professioniste, dalla serie A, B e C. Ma per noi di professionistico c’è ben poco. Siamo gli schiavi del calcio. Così schiavi che non meritiamo di essere avvertiti se si sospende l’attività”.

Sono le dure parole del dirigente del Torino che lavora nel settore giovanile. Guadagna circa 7500 euro l'anno, troppo pochi anche per prendere la cassa integrazione. “Siamo in tanti, ma non abbiamo un contratto nazionale. Anche il Coni e la Figc fanno finta che non esistiamo. La gente pensava che noi potessimo accedere al contributo di Sport e Salute, ma non è così. Perché noi lavoriamo nel settore professionistico, quindi non ne abbiamo diritto”.

Degli 80 addetti granata la metà è fuori dalla cassa integrazione perché guadagnano più di 50mila euro o meno di 7.500. Per cui, in questo periodo, devono chiedere aiuto ai parenti.

“Da marzo non abbiamo ricevuto una comunicazione che sia una, nemmeno di non presentarsi al campo, oppure cosa dire alle famiglie e ai ragazzi. Insomma, abbiamo gestito tutto noi. E soprattutto non ci hanno più pagato", ha ancora raccontato questo appassionato, che praticamente offre il suo tempo più per passione che per lavoro, non per niente molti ne devono fare un secondo per portare a casa uo stipendio dignitoso.