ANTONELLI, Cairo farà la casa del Toro
Stefano Antonelli dov’eravamo rimasti?
«Se non sbaglio, l’ultima volta c’eravamo detti arrivederci. Sono felice di riscontrare come il mio legame affettivo e anche professionale con il Toro sia integro».
Dia un voto al mercato di Cairo.
«I voti li date voi giornalisti, io posso esprimere un’opinione. E’ stato fatto un lavoro oculato. Con cinque acquisti importanti e altri innesti di prospettiva il presidente ha ulteriormente rinforzato una rosa rivoluzionata un anno fa con circa 20 novità. Il Toro ha ulteriormente compiuto un passo avanti per una stabile collocazione tra le squadre che possono ambire a una classifica di prestigio».
Dove può arrivare il Toro?
«Non oso dirlo: voglio usare la stessa scaramanzia che ama avere il presidente. Quindi, piedi per terra».
Sensazioni dall’esterno?
«Da fuori, chissà perché, traspaiono spesso umori negativi che invece non ho riscontrato personalmente. Ho anzi la certezza che il gruppo sia molto compatto, perché quello è uno spogliatoio straordinario. E i buoni risultati cementeranno ulteriormente la squadra e la guida tecnica».
De Biasi è l’allenatore del Toro o un allenatore da Toro?
«Ho lavorato un mese e mezzo con De Biasi, in una fase delicatissima del campionato. L’unico pensiero comune era quello di salvare il Toro, non è stato possibile conoscerci a fondo. Lui ha fatto tesoro delle esperienze precedenti, la panchina granata è la sua naturale collocazione: per me è un allenatore da Toro».
Giù dalla torre De Biasi o Di Michele?
«Non conosco i motivi di quella diatriba mediatica, ma dalla torre non butto giù nessuno. Ciò che è successo è giusto così: De Biasi deve essere l’allenatore del Toro e Di Michele deve trovare altrove la sua serenità».
I suoi rapporti con il segretario Ienca non erano esattamente idilliaci: non è un segreto. Giù dalla torre lui o i giornalisti di Torino, che passano come pressanti rompiscatole?
«Lei è un po’ cattivo con questa domanda, però rispondo volentieri, così facciamo chiarezza sulla questione. Massimo Ienca lo sa, perché gliel’ho detto un mucchio di volte, come io lo consideri il segretario ideale di ogni società. Conosce la materia come pochissimi in Italia, la sua operatività è di un’efficienza incredibile. Se c’è stato qualche problema tra noi probabilmente è perché io avrei voluto che lui fosse maggiormente presente in sede. Ma poi ho capito la situazione. Ienca è arrivato al Toro quando c’era tutto da fare, dopo il fallimento. Più che un segretario è stato un tuttologo: un elemento fondamentale per Cairo, nella ricostruzione del club. E’ normale che dopo due anni vissuti così intensamente non potesse accontentarsi di fare solo il segretario».
Non ha risposto alla domanda...
«Ah, mi sono dimenticato dei giornalisti... Ho avuto un buon rapporto, nel bene e nel male, tra critiche e stima, con tutti: salvo, e lo dico senza ipocrisia, un’eccezione».
Al passo d’addio col Torino, nell’ultima intervista concessa a Tuttosport, lei disse: con Cairo ci sentiremo più di prima. E’ così?
«Non conto le telefonate che ci facciamo. Il confrontarci è stato il motivo per cui il presidente mi ha offerto la carica di amministratore delegato del Toro. Con immutata semplicità e la positività di sempre non nego che oggi sia una delle persone che sento più volentieri nel mondo del calcio».
E’ vero che lei lavora per l’Udinese?
«Un anno fa decisi di cambiare vita e passare dall’altra parte della scrivania, dopo undici anni da agente di calciatori, per il desiderio di fare il dirigente. L’esperienza col Torino ha acuito questa mia vocazione. Con l’Udinese e con la famiglia Pozzo ho un rapporto straordinario da anni, e va oltre alla professione. In questo momento io penso solo al Supercorso di Coverciano per iscrivermi all’albo dei direttori sportivi».
Lavora o no per l’Udinese?
«A Udine l’organigramma è completo. Il dg, che è Leonardi, è un professionista di assoluto valore che gode dell’indiscutibile fiducia di tutta la famiglia Pozzo e ovviamente della mia stima. Io sono onorato di essere consulente di questa società».
In quell’intervista a Tuttosport
lei si appassionò sul progetto del centro sportivo per il settore giovanile. Ne ha riparlato con il presidente?
«Sicuramente sì. E’ un progetto che ho nel cuore, un tassello determinante nella rinascita del Toro di Cairo. Lavorai per questo obiettivo gomito a gomito con Comi e Benedetti, facendo riunioni con gli organi competenti del Comune nell’hinterland di Torino. Diedi a Cairo tutte le informazioni, compreso uno studio sulle modalità e i costi della realizzazione di quel sogno. Sono certo che si realizzerà: è la promessa che il presidente mi ha fatto».
Sarà il regalo più bello che ha lasciato a Cairo?
«La buona valutazione di un’area tecnica viene valutata dai risultati sportivi e dal bilancio. Spero, ma non ho dubbi, che Cairo possa avere riscontrato in modo positivo i valori tecnici e patrimoniali del lavoro svolto da me e dai miei collaboratori».