La Sindrome di Cerci: attenzione al terribile virus
Attenzione: a Torino c’è una malattia, un virus noiosissimo, una patologia che ti si appiccica addosso e non va più via. Si chiama “la Sindrome di Cerci” e si contrae all’istante non appena si decide di cambiar aria. Ma, attenzione, non mi riferisco di certo all’aria fredda, per cui non sto parlando di affezione bronchiale o polmonare. Semmai si tratta di un anomalo quanto diffuso malanno psichico. Vediamola nel dettaglio questa preoccupante sindrome.
C’era una volta Ogbonna
Le prime avvisaglie del virus si ebbero circa due anni fa con un prodotto del vivaio granata, tale Angelo Obinze Ogbonna che, smessa la amata casacca di appartenenza ed ignorata la riconoscenza verso un club ed una tifoseria che lo avevano sempre coccolato, decise senza esitazione di passare sull’altra sponda del Po. Bene, anzi, male per lui, perché è stato proprio questo virgulto difensore il primo inconsapevole portatore (non sano visto pubalgie che già lo affliggevano) di quella che sarà più avanti ribattezzata, appunto, la Sindrome di Cerci. Infatti, nella nuova società, oltre che essere poco amato dalla schizzinosa tifoseria, si troverà spesso a scaldare panchine e poltroncine di tribuna, salvo qualche impacciata apparizione o presenza per sostituire gli inamovibili titolari della difesa. Nel frattempo, a causa del virus, perderà anche la nazionale e la convocazione ai Mondiali.
Poi fu la volta di D’Ambrosio
Volitivo, combattivo, un bell’uomo dal fisico scolpito e dai tratti somatici da giocatore d’altri tempi, Danilo D’Ambrosio approda al Torino dalla Juve (quella di Stabia), e forse già dal nome infelice della squadra di provenienza si doveva capire subito che il terzino avrebbe fatto le valigie non appena gliene fosse capitata l’occasione. Fa tanta serie B, si impegna, gioca discretamente fino alla consacrazione in serie A dove, appena si accorge di essere ‘bravino’, viene anche lui colpito da questa rara sindrome: ed è talmente forte la sua affezione virale che addirittura a metà campionato, nel mese di gennaio, abbandona il Toro per passare al Football Club Internazionale Milano, meglio conosciuto come Internazionale o, più semplicemente, come Inter. Ma grandissimi e conclamati campioni del calibro di Yūto Nagatomo, Jonathan e Dodò sbarrano la strada alla fulgida carriera intrapresa dal nostro promettente (ma non mantenente) terzino.
Ciro ‘O Tedesco
Da Genova, sponda rossoblù, arriva al Toro un centravanti biondino di Torre Annunziata, di buone speranze e di cattive frequentazioni calcistiche ai tempi della Primavera: purtroppo per lui, nella precedente stagione di esordio in serie A, aveva realizzato la miseria di 5 reti in 34 partite. Ma al Torino credono in lui, gli danno fiducia, lo fanno giocare in libertà e il bomber in erba ripaga con una valanga di gol: diventa il capocannoniere della serie A e il titolare della Nazionale italiana. Ma una sera, rientrando dopo un allenamento, si accascia negli spogliatoi e nel suo staff gli misurano subito la febbre da Sindrome di Cerci: 42 gradi di insofferenza! Bisogna fare qualcosa, così il suo procuratore non perde tempo e, non appena finito il campionato (siamo appena al 2 giugno), decide che Ciro ‘o scugnizzo deve cambiare aria: si va a Dortmund, ridente cittadina tedesca famosa per… famosa per… famosa per niente. Se non per quella squadra vestita da ape regina che lo relega in panchina. Qualche gol in Champion’s è vero, ma poco altro. E tanta nostalgia di italiche cene con amici.
Alessio Cerci, cui si deve il nome della sindrome
Abbiamo tenuto per ultimo il nome di Cerci proprio perché è grazie a lui che questa malattia ha preso un nome. Infatti, dopo due ottimi campionati nel Torino, l’Henry di Valmontone dice basta: “ciao ragazzi, io vado nel calcio che conta!” Mai frase fu più infelice, un boomerang fantozziano che torna indietro e ti colpisce violentemente sul naso. A Madrid, sponda Atlético, giocherà scampoli di partita senza lasciar segno. Se non quello di una cessione immediata al Milan. “Oh, finalmente, San Siro, volevo proprio venire al Milan la scorsa estate!” dichiarerà. Peccato che la squadra di Inzaghi, con Cerci o senza Cerci, sia una sorta di armata brancaleone capace di raggranellare, dall’arrivo del giocatore impacchettato con tanti fiocchi da Madrid, appena 10 punti in 10 partite. Senza nemmeno accorgersene, l’attaccante di Velletri finalmente è approdato al “calcio che conta”, sì ma il calcio che conta… i punti per non retrocedere.
Come guarire dal virus
Cari lettori, non vi allarmate, state tranquilli: come in ogni malattia c’è sempre un rimedio, un antidoto, una cura, una medicina. Si chiama Toro ed è molto facile da somministrare. Per prima cosa bisogna semplicemente amare la maglia granata, quella che fu di Valentino, di Meroni, di Fossati, di Pulici. Poi bisogna indossarla quella maglia, renderla sudata, e portarla con orgoglio. Infine, non meno importante, mandare affanc… procuratori venali, mogli isteriche e proprie brame di mercenario egoismo. Qua a Torino, finalmente, abbiamo un ottimo mister in grado di valorizzare ogni singolo giocatore, sia esso un campione o un semplice gregario. E poi ci sono i tifosi che, solo se lo meriti (sia inteso), ti fanno sentire importante, ti danno la carica. Quindi i vari Darmian, Bruno Peres, Maksimović e lo stesso Giampiero Ventura sono avvertiti: occhio a cambiare squadra! o la sindrome vi colpirà!
P.S. Capitan Glik ha talmente il terrore di contrarre la Sindrome di Cerci che, proprio una manciata di giorni fa, ha dichiarato solerte e impaurito ai taccuini dei giornalisti: “sono prontissimo a firmare per altri 5 anni!”.
Ecco, lui ha capito tutto.
Gianluca Domenici