Carlo Nesti, la storia dei Mondiali

09.06.2014 17:18 di  Marina Beccuti   vedi letture
Carlo Nesti, la storia dei Mondiali
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Durante i Mondiali di calcio 2014, garantirò, in questi spazi, il commento-pagella delle partite dell’Italia, e degli altri incontri principali.

 

Inoltre, una sintesi audio-video Youtube delle fasi salienti delle partite degli azzurri.

 

Ascolterete la mia voce in televisione su Top Calcio 24, e in radio su Radio Sportiva.

 

Nella marcia di avvicinamento all’evento, vi propongo una serie di ricordi personali, legati proprio alla storia della manifestazione.

 

 

 

MONTERREY, 2-6-1986

 

 

POLONIA-MAROCCO 0-0

 

 

NON DISTURBARE CIOTTI

 

 

Voliamo da Milano a Città del Messico, fermati per un guasto aereo una notte ad Amsterdam, in 4, Bruno Pizzul, Ennio Vitanza e io per la televisione, Alfredo Provenzali per la radio.

Quando atterriamo nella capitale, un dirigente Rai ci blocca, invitandoci al bar, e noi, sconvolti dal viaggio interminabile e dal fuso orario, ci chiediamo che senso abbiano certi convenevoli.

Attorno a uno sbilenco tavolino, scopriamo che Nando Martellini ha avuto un malore, ed è tornato in Italia, per cui il “gigante buono” Pizzul diventa il numero 1: lo sarà per 16 anni...

Su un foglio a quadretti, e sotto gli occhi di tutti, viene riscritto ciò che immaginavo, in azienda, sancito da riunioni, sussurrato fra pareti insonorizzate, e vergato su registri segreti.

Vengono ridistribuite le telecronache, tenendo conto di Giorgio Martino e Fabrizio Maffei, e assisto al penoso slancio di un collega, che si inginocchia per elemosinarne una in più.

Poi, ciascuno si muove per la sua destinazione, e io (televisione) mi reco a Monterrey, dove seguirò, con Sandro Ciotti (radio), gli impegni di Inghilterra, Marocco, Polonia e Portogallo.

Il 2 giugno 1986 si gioca il primo incontro fra Marocco e Polonia, e ho l'incarico di svegliarlo a 2 ore e mezza dal match, per montare su un taxi, e raggiungere insieme lo stadio.

Provo a telefonare 1-2-3 volte dalla reception, ma nessuno risponde, per cui, pur essendo intimidito dal carisma del “mostro sacro”, decido di salire al suo piano, e bussare alla porta.

Dal buio della stanza, esce una pelosa sagoma nuda, con sullo sfondo un letto disfatto, e Sandro, con la voce a grattugia, mi fa: “Ragazzino, non hai ancora capito perché sto tardando?”.

Arrossisco, e mi precipito nella hall, scioccato dal pensiero di avere interrotto l’amplesso del collega: temo il peggio, ma dopo, in auto, lo trovo sereno, e ben disposto.

Giunti nell'impianto, scopriamo che il personale tecnico dell'Eurovisione ha affiancato quello messicano, in stato confusionale, e che le nostre postazioni sono lontane.

Come se non bastasse, a me, telecronista, arriva la linea radio di Ciotti, mentre a Ciotti arriva la linea tivù, per cui sarò io a far partire lui, e viceversa, con un braccio alzato.

Comincia il confronto, ma noi diamo le spalle al campo, guardandoci negli occhi a 30 metri di distanza, in attesa che Roma pronunci il fatidico “vai”: sperimentatori stile Guglielmo Marconi.

Scatta Ciotti, e poi io, intorno al ventesimo minuto, primo a prendere la linea dal Messico, dopo il match inaugurale, senza bisogno di scomodare per 90' la telecronaca di un collega in Italia.

La Polonia di Boniek e Smolarek pareggia 0-0, e il giorno dopo Gianni Romeo de “La Stampa”, elogiando la mia prestazione al microfono da umile gregario, scriverà: “Anche la Rai ha il suo De Napoli!”.

 

 

 

 

NAPOLI, 3-7-1990

 

 

ARGENTINA-ITALIA 4-3

 

 

UNA TARTARUGA PER TOTO’

 

 

La signorina si chiama Natalina, ed è una piccolissima tartaruga d'acqua, custodita nella vasca da bagno dalla mia fidanzata Manuela a Pino Torinese, località sulla collina di Torino.

Ogni tanto, ci divertiamo a stuzzicarla un po', e a metterla sul pavimento, per vedere se riesce a muoversi: Natalina, disorientata, forse impaurita, si sposta di pochi millimetri, e basta.

Comincia Italia '90, e Il 19 giugno, una volta battuti Austria e Stati Uniti, l'Italia affronta la Cecoslovacchia: io, non avendo impegni di lavoro, decido di assistere alla partita a Pino Torinese.

Scende in campo, con gli azzurri, anche Natalina: la appoggiamo sul tappeto, davanti al televisore, e lei, imprevedibilmente, all'8' della prima frazione, scatta come una molla verso il video.

Ma è possibile, la piccolina, così lenta? Manuela fa appena in tempo a bloccarla, senza che ci scappi via, e un minuto dopo scatta anche Schillaci, segnando al 9' la rete dell'1-0.

L'Italia vince per 2-0, e quindi, il 25 giugno, mentre sono a Verona, batte pure l'Uruguay con gol di Schillaci e Serena, sino ad arrivare ai quarti di finale: il 30 giugno tocca all'Irlanda.

Stesso luogo, Pino Torinese, stessa casa, stessa stanza, e stesso rito: riappoggiamo Natalina sul tappeto, e riprendiamo a sperare, restituendole, ogni tanto, il sollievo dell'acqua.

Passano 37 lunghissimi minuti, e il miracolo si ripete: la tartaruga schizza verso il televisore, e al 38', dal video, si leva il grido di Bruno Pizzul, che saluta l'ennesimo gol di Schillaci!

Siamo ormai lanciati, 8 anni dopo il Mundial di Spagna, e sembra soffiare il vento che allora gonfiava le reti, Rossi come Schillaci, Totò come Pablito, senza scampo per nessuno.

Giugno ci lascia, con la sua collettiva esplosione di entusiasmo, e il 3 luglio arriva la semifinale contro l'Argentina di Maradona, lo snodo per la finale contro Inghilterra o Germania.

Attenzione, però, cambiano 2 fattori, che in quel contesto appaiono una banale formalità: l'Italia giocherà non a Roma ma a Napoli, e io e Manuela vedremo la partita a casa mia, a Torino.

Sembra tutto troppo facile, perché dopo 17 minuti segna Schillaci, ancora lui, ma a 22 minuti dall’epilogo, diavolo di un Caniggia, giunge il pareggio, e con l'1-1 l'agonia dei supplementari.

Io e Manuela ci guardiamo, e ci chiediamo cosa starà facendo Natalina, a Pino Torinese, nella sua vasca da bagno, purtroppo lontana da noi, lontana dal televisore, lontana dal confronto.

Quando è il momento dei calci di rigore, provo a immaginarla sul pavimento, là davanti, ma non è la stessa cosa: sbaglia Donadoni, segna Diego, sbaglia Serena, e siamo fuori, 4-2 per loro.

Natalina morirà nella “piscina” personale pochi giorni dopo: lei aveva bisogno del suo habitat naturale, e non delle colline, o forse, chissà, aveva ancora bisogno di Totò, e dei suoi scatti di gloria.

 

 

 

 

LOS ANGELES, 17-7-1994

 

 

BRASILE-ITALIA 3-2

 

 

IL SEQUESTRO DI PIZZUL

 

 

Avevo sempre sognato, sin da quando usavo le radiotrasmittenti da bambino, un mondo nel quale tutti fossero collegati in movimento, e potessero fare ciò che oggi consentono i cellulari.

Il 17 luglio 1994 è la prima volta in cui la telefonia mobile mi permette un grande scoop, e questo avviene il mattino della finale dei Mondiali statunitensi: Brasile-Italia.

Chiamata per Antonello Valentini (Federcalcio), dall'auto che mi porta allo stadio: non solo Baggio giocherà, ma scenderà in campo anche Baresi, a 15 giorni dall'intervento di menisco.

Avrò l'onore di essere la “spalla” di Bruno Pizzul durante la telecronaca: io, meticoloso all'esasperazione, con la tabella fitta di appunti, e lui decisamente più spontaneo e disincantato.

Raccatta un foglio in terra per annotare le formazioni, e per me è come se Riccardo Muti andasse a dirigere il concerto della vita con lo spartito scritto su carta da focaccia.

A 30 minuti dall'avvio, giunge notizia che Irene Pivetti, Presidente del Consiglio, deve consegnare a Pizzul un messaggio, da parte del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

A mio giudizio, siamo troppo a ridosso dell'inizio del match, in una tribuna-stampa stipata all'inverosimile, perché sia Bruno a riceverlo, ma si alza, e scende in tribuna d'onore.

Passano i minuti, meno 25, 20, 15 dal fischio d'inizio, mi guardo attorno, e da Roma, resisi conto che Pizzul non è in impostazione, arriva l'ordine: “Nesti, stai pronto a cominciare tu...”.

Prendo la tabella degli appunti, e decido che il primo dei teorici interventi da opinionista diventerà l'introduzione della telecronaca: 2 minuti, 1 minuto, 30 secondi, si parte!

Mai come questa volta, forse, sento le orecchie puntate addosso di 30 milioni di persone, e, invece di agitarmi, mi carico di energia, sino a quando non giunge il momento di fermarmi.

Pizzul, avendo dimenticato il biglietto della finale in postazione, era stato bloccato dalla polizia, che, solo in seguito a molte insistenze, si era convinta a lasciarlo tornare in tribuna-stampa.

L'orgoglio di Pagliuca, Maldini, Albertini, Dino Baggio, Donadoni e Massaro sfida uomini scaricati dal nostro calcio, Taffarel, Branco e Dunga, al servizio di Romario e Bebeto.

Per 120 minuti, raccontiamo la sofferenza di Baggio, che cammina, frenato da uno stiramento, e lo stoicismo di Baresi, stupendo, ai limiti dell'impossibile, nello sbarazzarsi delle stampelle.

Poi, al momento dei rigori, saranno proprio loro a versare le lacrime della sconfitta, sbagliando dal dischetto come Massaro: 3-2 per Il Brasile, vincitore dopo 24 anni.

Quando vedo i sudamericani festeggiare, esprimo un pensiero sincero: “Abbiamo perso, ma lassù, c'è qualcuno che esulta, e dobbiamo esserne contenti anche noi: Ayrton Senna”.

 

 

LA MIA SOSTITUZIONE DI BRUNO PIZZUL

https://www.youtube.com/watch?v=6M_8oWslvu8 (da 13’14” a 14’01”)

 

 

 

DAEJEON, 18-6-2002

 

 

COREA DEL SUD-ITALIA 2-1

 

 

QUEL PAGLIACCIO DI MORENO

 

 

L’arbitro Byron Moreno viene dall’Equador, è una palla ovale da rugby, sulla quale sono stati disegnati dalla provvidenza 2 occhi tristi, e una espressione vagamente da mongoloide.

Sepp Blatter, presidente della Fifa, assicura che è la scelta ideale per l’ottavo di finale dei Mondiali Corea del Sud-Italia, e perdiana, come non credere a un dirigente così poco circense…

Il 18 giugno 2002 sono convalescente, dopo un intervento proctologico, e devo trovare la posizione giusta, prono, di fianco o supino, per non sommare sofferenze a sofferenze.

A Daejeon ci mancano Cannavaro e Nesta, indisponibili, e si apre una voragine al centro della difesa, una ragione in più per temere i fantasmi di Corea 1966, la vergogna dei Mondiali inglesi.

Negli incontri precedenti le direzioni di gara non hanno proprio favorito gli azzurri, per cui, anche per la legge della compensazione, sono convinto che quella palla ovale non farà brutti scherzi.

Al pronti via, cartellino giallo per Coco, e sulla punizione, Moreno sceglie uno dei 100 strattonamenti in area per fischiarci un rigore contro: per fortuna Dio vede, e Buffon provvede, deviando in corner.

Dal mio divano, sento le parole di Bruno Pizzul e Giacomo Bulgarelli, venate di acceso patriottismo, e legittimamente preoccupate per la persecuzione arbitrale, che continua.

Al 19' Vieri, resistendo alle cariche avversarie, segna il gol dell'1-0, e dopo 2 minuti Totti viene ammonito, colpevole di avere saltato a gomiti alzati: ma dove vuole arrivare, il “segugio” Moreno?

Nella prima parte della ripresa, non vede un intervento di braccio di Seol nell'area coreana, e, poco oltre la mezz'ora, ignora il fallo che impedisce a Totti di presentarsi a tu per tu con il portiere.

Nelle ultime battute accade l'incredibile: al 43' un errore di Panucci consente a Seol di pareggiare, e quindi Tommasi porge a Vieri una semplice palla da spingere in rete, ma Vieri la spinge in cielo.

Alla fine dei 90 minuti, mia madre comincia a farneticare di Lourdes, ma le ricordo che, se non è bastata l'acqua santa usata da Trapattoni a miracolarci, è inutile scomodare il Padreterno.

Nei tempi supplementari, “faccia da gluteo” commette il delitto: Totti cade in area, può essere o no rigore, ma non simulazione, e invece, si becca il secondo cartellino giallo, venendo espulso.

A questo punto è difficile non credere a una strategia contro gli azzurri: Tommasi fermato per un fuorigioco inesistente davanti a Lee, e Lee che risponde a Gattuso solo dinanzi a lui.

Al 111', dopo essermi girato in tutti i modi, non c'è posizione che tenga per mitigare lo “strappo” fatale: testa di Ahn, e golden gol, con il povero Buffon, esanime, a terra.

Mi sollevo dai cuscini, sento un male cane al fondoschiena operato, e urlo, assatanato, “Nooooo!”: mi alzo, e prendo a schiaffi il video, prima di chiudermi nel silenzio più tetro.

 

 

 

 

BERLINO, 9-7-2006

 

 

ITALIA-FRANCIA 6-4

 

 

IL TRIPUDIO “ON LINE”

 

 

Tutti insieme, stretti in un fremito comune, presso la redazione centrale tedesca di Rai Sport, a Monaco, divisi in 2 gruppi, secondo scaramanzie a me del tutto sconosciute, ma rispettate.

Una parte di giornalisti, opinionisti e tecnici nel luogo di lavoro, assiepati su sedie e scrivanie, con alcuni televisori a disposizione per monitorare gli eventi della finale mondiale.

Un’altra parte nello studio TV, con uno schermo gigante in grado di farci sentire più vicini a Berlino, e agli azzurri: l’Italia, che ha eliminato i padroni di casa della Germania, affronta la Francia.

Quando mai mi capiterà di realizzare la cronaca diretta di una finale, con i nostri giocatori in campo? Mai, e allora decido di approfittare dell’esistenza di un nuovo media, il Web, per esibirmi.

Curo, da 4 anni, il sito NESTI Channel, e mi armo di un registratore grande come 3 accendini, con l’intenzione di trasmettere le fasi salienti in Italia, il giorno dopo, via telefono.

Successivamente, saranno messe “on line” dai miei tecnici della Time&Mind, e in futuro (ma in quel momento, non posso saperlo) su Youtube, in perpetua memoria di una serata indimenticabile.

Lo studio TV sembra uno stadio, e gli effetti che entrano nel registratore, con la mia voce, sono simili a quelli autentici, per quanto, attorno a me, in molti si chiedano cosa sto combinando.

La Francia passa in vantaggio dopo 7 minuti, su calcio di rigore battuto da Zidane, anche se l’impressione, che tuttavia inganna, è che la palla non abbia superato la linea di porta.

L’Italia reagisce 12 minuti più tardi, quando, su corner di Pirlo, Materazzi salta in quota, e crea le condizioni perché gli azzurri disputino una prima parte della gara superiore a quella avversaria.

Nella ripresa, e nei tempi supplementari, il risultato resta 1-1, ma con la Francia più prodiga di gioco offensivo e di occasioni, pur in presenza di una difesa italiana insuperabile.

A 9 minuti dai calci di rigore, rimango allibito quando capisco il motivo di un atterramento proprio di Materazzi, che aveva colto di sorpresa tutti, essendo avvenuto a palla lontana.

Zidane, 8 anni prima, aveva afferrato la Coppa del Mondo, a furia di testate (al pallone), in finale. Otto anni dopo, macchia l’ultima partita della carriera con la furia di una testata (al petto).

Arrivati ai penalties, penso soltanto una cosa, e cioè che ho visto troppe volte le squadre italiane naufragare dagli 11 metri, per cui, se la dea bendata si concedesse una vacanza...

Dopo Pirlo, Materazzi, De Rossi e Del Piero, sul 5-4, tocca a Grosso la responsabilità di riavvolgere di 24 anni il nastro dei Rossi, Tardelli, Bearzot e Pertini, rendendo azzurro il cielo di Berlino.

Nel 1982, ero dietro a Martellini, mentre nel 2006 sono dietro a un registratore, ma non tanto piccolo dal non riuscire a contenere una gioia spaziale: allora “in onda”, stavolta “on line”.

 

 

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