La grande e giusta voglia d’Europa non diventi un boomerang per il Torino

Gli ottavi d’Europa League e la possibilità di raggiungere in campionato un posto utile alla partecipazione alla coppa europea della prossima stagione rappresentano la realtà del Torino che non va sperperata.
10.03.2015 12:44 di  Elena Rossin   vedi letture
Fonte: Elena Rossin per TorinoGranata.it
La grande e giusta voglia d’Europa non diventi un boomerang per il Torino
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© foto di Daniele Buffa/ Image Sport

Il Torino del primo tempo di Udine non avrebbe speranze di tener testa allo Zenit; una squadra come il Torino non può mai sentirsi appagata: sono concetti espressi da Ventura a margine della manifestazione per l’assegnazione della Panchina d’Oro e d’Argento. Questi concetti aprono la discussione su quale Torino tifosi e addetti ai lavori si dovranno aspettare nelle prossime partite: quello svagato e pasticcione che ha perso con l’Udinese o quello determinato e capace di sfruttare le occasioni che crea e che ha vinto meritatamente con l’Athletic Bilbao e con il Napoli.

 

Buona parte dei giocatori granata possono aver avuto nella gara in Friuli la testa già al successivo impegno d’Europa League, più o meno inconsciamente, oppure no. Dopo un lungo periodo (iniziato dopo la sconfitta nel derby il 30 novembre) di quindici risultati positivi, tranne l’eliminazione dalla Coppa Italia, può accadere che una partita sia sbagliata. Il tornare ad avere impegni di campo ravvicinati ha fatto riemergere i problemi dovuti a un organico numericamente con poche alternative e non in tutti gli elementi di medio-alta qualità. Sono tutte plausibili spiegazioni che troveranno riscontri a breve termine visto che il Torino affronterà, fra giovedì 12 e domenica 22, nell’ordine Zenit e Lazio, due formazioni oggettivamente più forti, e il Parma, ultimo in classifica e con i noti problemi societari.

 

Sempre Ventura, che per ruolo è la persona che più di tutte ha il polso della situazione e sa esattamente pregi e difetti della squadra che allena, ha detto che il primo tempo del Torino con l’Udinese è stato inquietante, ne consegue che letteralmente c’è apprensione per quello che la squadra ha fatto vedere in campo e gli errori, individuali (i più evidenti quelli di Peres, Glik, Bovo e Maxi Lopez) e collettivi, soprattutto in fase difensiva, ma anche sottoporta, hanno determinato la sconfitta. Il mister ha sottolineato anche che a ottobre c’era chi dava la squadra praticamente per retrocessa - concetto un po’ forzato poiché al massimo i più scettici temevano che il Torino non riuscisse ad andare oltre la salvezza, mai messa in discussione - e invece oggi i granata sono nella parte sinistra della classifica e hanno gli stessi punti dell’Inter e disputano gli ottavi di Europa League, quindi qualche cosa di buono è stato fatto. Nessuno nega che il Torino abbia cambiato marcia in campionato e che dopo un avvio stentato sia tornato sui livelli dell’anno scorso pur senza Immobile e Cerci che segnavano a ripetizione e con l’innesto in estate di dodici nuovi giocatori, non tutti rivelatisi idonei alla tipologia di gioco e al gruppo, e di conseguenza era inevitabile che ci volesse del tempo per amalgamare la squadra, semmai si mettono in discussione alcune scelte di mercato fatte e più o meno inizialmente accettate dall’allenatore e alcune conferme di giocatori che ai più sembravano inadatti.

 

 Lo Zenit, come dice anche Ventura, è una delle squadre accreditate per vincere l’Europa League e affrontarla è motivo d’orgoglio. Su questo non ci piove, purché l’orgoglio non faccia brutti scherzi e non porti i giocatori, ma anche l’allenatore a voler strafare per mettersi giustamente in mostra, altrimenti il rischio che quest’orgoglio diventi un boomerang sarà alto. Il Torino, inteso come società, negli ultimi quattro anni ha puntato su un allenatore e su giocatori che avevano voglia di rivincite o di affermarsi. Ventura in passato non era mai andato oltre il decimo posto in campionato con il Bari; Quagliarella era ai margini nella Juventus; Maxi Lopez fino a gennaio nel Chievo non giocava titolare; Padelli solo due stagioni fa era riserva nell’Udinese; Bovo e Moretti erano stati lasciati andare via dal Genoa perché ritenuti vecchietti; Glik e Darmian erano calciatori da formare, così come lo sono tuttora Maksimovic, Peres, Benassi, Martinez, Jansson, Silva e Ichazo; Vives sta attraversando una seconda giovinezza; Gazzi è tornato a essere, anche per il mister, indispensabile in mezzo al campo; Farnerud si sta confermando un giocatore di buon livello; El Kaddouri deve trovare la continuità che gli permette di non sprecare l’indubbio talento; Molinaro si è messo al servizio della causa senza creare problemi quando è in panchina, ancor di più Amauri e Castellazzi; altri sono ai margini per problemi fisici attuali Gonzalez e Masiello o appena superati Basha; infine c’è Barreto diventato un’entità indefinita e indefinibile. Che un gruppo così formato non sia appagato è più che ovvio, ma è altrettanto vero che può tendere a voler a tutti i costi dimostrare che vale e questo può trasformarsi da valore aggiunto in zavorra ed è da evitare per il bene di tutti, in primis per quello del Toro.