Urbano, rendici la pariglia
Non ci sta Urbano Cairo ad essere paragonato a Marchionne. Il Toro non è la Fiat, e lui non si sente nè un ingrato nè uno che vuole abbandonare la barca adesso che inizia a fare acqua. Insomma, la sua filosofia in fondo è semplice e in qualche modo ricalca quella del suo mito, il presidente Berlusconi. In poche parole: meno male che Urbano c’è. «Certo - dice - una volta ero Papa Urbano, mi portavano in trionfo e mi sommergevano di applausi, adesso sono in disgrazia ed hanno tutti il pollice verso… ma così è, soprattutto nel calcio». Dagli altari alla polvere, ma allora perché non molla tutto? Perché, visto che il Toro lo ha ricevuto gratis, non lo cede allo stesso prezzo? «Guardi, è vero che l’ho ricevuto gratis, dopo che i lodisti lo hanno salvato dalla catastrofe, ma due giorni dopo la firma ero già lì con dieci milioni di euro cash, senza contare gli altri quindici di fidejussione… dunque, parlare solo di un regalo del sindaco e della città mi pare eccessivo». Una pausa e poi ancora: «In questi cinque anni avrò pur fatto qualcosa: prima la risalita in serie A, poi tre buoni campionati. Il Toro negli ultimi vent’anni non ha fatto molto meglio». Sarà così, presidente, ma i numeri del Toro non le danno ragione: 108 giocatori acquistati dall’agosto del 2005 ad oggi, 7 direttori sportivi, 7 allenatori e adesso ci ritroviamo al 13esimo posto in serie B, sbertucciati persino dal Frosinone che certo non è il Real Madrid e neppure il Chievo. Insomma la barca affonda, ma il comandante conosce la rotta per il porto? Alza le vele, poi le cala, vira a dritta e poi a manca, ma ignora le mani tese di altri nocchieri: snobba il russo, poi gli arabi, infine la Red Bull. Questione di soldi? «Guardi, glielo giuro, io non ho ricevuto offerte nè mani tese da nessuno. Della Red Bull conosco solo il sapore, quando la bevo all’autogrill. Per essere preciso, come d’abitudine, ho incontrato solo i Tesoro che sono i patron della Pro Patria, ma adesso so che padre e figlio sono ai ferri corti, e non se ne è fatto nulla». Morale dalla favola, presidente? «La morale è semplice, meno male che Cairo c’è, che ogni mese caccia il milione e fischia che serve per la gestione ordinaria, per stipendi e spese. E se non ci fosse, sarebbero guai». Ma insomma, tanto per solleticare qualche acquirente, la cessione ad 1 euro sarebbe possibile oppure no? «Il Toro vale quanto valgono i suoi giocatori. Ma lo sa che per Bianchi lo Shalke 04, in chiusura di mercato, mi ha offerto 8 milioni più i bonus, qualcosa che si avvicina ai dieci milioni? E che Ogbonna ne vale 6,7,8 milioni di euro, senza contare gli altri? Beh, ai miei quaranta milioni investiti, che sono scritti nero su bianco nel bilancio, io non ci rinuncio… Dunque, presidente, si tiene il Toro a vita? Vado avanti, perché ho preso un impegno e forse bisognerebbe dire ancora grazie ad uno come me che se lo tiene». Posta così, la questione profuma di fustigazione e santità. Ma ci pare che il presidente dimentichi il volano di ricchezza che il Toro ha prodotto in questi anni, dai diritti televisivi alla pubblicità, mestiere in cui egli ha pochi rivali. Papa, glielo vorremmo ricordare, è diventato a Torino e grazie al Torino. Adesso sarebbe ora di rendere la pariglia, con un bel gruzzolo contante da investire, o con quel gesto di liberalità che esula dal conto economico e che avrebbe il sapore di francescana generosità: ridare “a gratis” quello che si è avuto “a gratis”.