Soldi, passione e bella vita la terra promessa dei calciatori
Todos caballeros. Ieri Kakà, oggi Cristiano Ronaldo, domani Ibrahimovic. Premesso che forse anche voi trovereste Barcellona vagamente più allegra di Milano e Madrid un tantino più sontuosa di Manchester, tre indizi, è noto, fanno una prova: la terra promessa oggi è in Spagna. Più esattamente, in quelle due città. C´è la storia, ma c´è anche il presente. Il calore del tifo, senza la sua violenza. C´è un campionato sotto i riflettori dove, mal che ti vada, arrivi secondo. E ti risparmi per le coppe europee e i mondiali sudafricani. Ci sono i soldi, con un regime fiscale favorevole. Che cosa vuoi di più? L´amara Milano?
Esaminiamo i fattori che spingono i migranti di lusso verso Barcellona e Madrid, in ordine crescente di importanza. La storia, certo. Mica vai a giocare in qualche improvvisata fantasia di sceicchi. Avrai per casa il Bernabeu o il Camp Nou. Per maglia una che s´è cucita più stelle del presepe. La stessa indossata da gente che si chiamava Zidane o Maradona, per dirne due. Passerai davanti a una bacheca piena di coppe ogni volta che andrai in sede. E non sarai a corte di una nobile decaduta. Real e Barcellona non c´erano una volta, ci sono adesso. Hanno vinto 50 scudetti in due, ma soprattutto gli ultimi cinque. La coppa con le orecchie è in Spagna. Il calcio più bello della stagione 2008-2009 si è giocato lì. La partita dell´anno è stata Real-Barcellona 2 a 6. Hanno più soldi di chiunque per fare acquisti e già così ti piazzano accanto Messi e Iniesta, Casillas e Raul.
E intorno ti mettono il pubblico spagnolo. Meglio: i madridisti e gli azionisti del Barça, gente che alla squadra ha dato la borsa e la vita, che ci ha investito soldi e comprato una quota che non venderà mai, un posto allo stadio come fosse un tombino al cimitero, con l´uscita sul retro che dà in paradiso. Vogliamo scommettere che quando Puyol, ragazzo di casa, giocherà la sua ultima partita al Camp Nou, nessuno esporrà striscioni contro di lui come è accaduto con Maldini a San Siro? Il tifo spagnolo è caldo, ma non brucia. Ne esci vivo. Gli stadi sono praticamente monopolio del pubblico di casa, non ci sono scontri. La fase delle svastiche e dei cori razzisti è stata superata come una malattia giovanile: è bastata la minaccia di un papà serio come Hiddink a far sparire l´ultimo simbolo nazista, in una curva di Valencia. Nessuno griderà "Zingaro!" a Ibrahimovic. Men che meno glielo diranno, nel segreto dei bar del Barrio gotico, i suoi stessi tifosi.
Per questo pubblico i migranti di lusso trionferanno. Inevitabilmente. O chi va al Barça o chi va al Real. Tertium non datur. Figuriamoci se vanno là per divertirsi e trovare un campionato più aperto del nostro o di quello inglese. Nella Premier se la giocano in 4 (Manchester United, Chelsea, Liverpool e Arsenal), nella Serie A in 3 (Inter, Milan e Juve), nella Liga c´è da stare attenti solo a quelle due: Barça e Real. In tutto l´anno le sole partite vere sono gli scontri diretti. Proprio volendo esagerare: i derby con Atletico e Espanyol. La terza classificata quest´anno ha chiuso a 17 punti dalla testa. Si può rifiatare, fare il torello, vincere di goleada su metà dei campi. Non si rischiano le gambe. Non dai tempi in cui Goicoechea cercò di assassinare Maradona. Che fu anche l´ultimo grande a lasciare la Spagna con destinazione Italia per maturare. Da allora ci sono arrivati un Figo appassito, sette quarti di Ronaldo e, prossimamente, quel che resta di Cannavaro.
Infine, la madre di tutte le verità: i soldi. Questi pagano meglio, anche se gli stipendi al netto sono uguali. La minor pressione fiscale si riflette su tutto il resto che costituisce gli introiti di un calciatore. Lo slogan riveduto e corretto "Meno tasse per Totti" non si è mai tramutato in realtà. Meno tasse, Kakà è andato a cercarsele da Zapatero, e non è un caso politico, ma solo di convenienza. Se non è passato prima al Manchester City dev´essere che gli sceicchi non hanno mai davvero mostrato al padre l´assegno promesso e non soltanto gli arabi danno cammello quando vedere denaro. Oggi tutti vogliono Barca e Real, si capisce, ma non è vero amore. E´ lì che conviene giocare qui e ora. Domani è un altro giorno, si cambia maglia, si timbra il passaporto e si dichiara allo sbarco, dovunque avvenga: «E´ un sogno che si realizza».
La Repubblica