Comi: un Toro rossonero
Un cuore granata che gli batte dentro al petto, una realtà e un sogno chiamato Milan che vive con una professionalità e una serietà non comuni in ragazzi di appena 20 anni. Dalla Mole al Duomo imponendosi a suon di gol e poche parole. Gianmario Comi, figlio d'arte, non è partito dal basso come tutti e seppur portando un cognome importante per quello che ha rappresentato il padre nella storia del Torino, ha negli occhi lo sguardo di chi ha dovuto sudarsi tutto quello che si è conquistato.
Fin da piccolo hai dunque vissuto la rivalità con la Juve. “Essere tifosi di una squadra è un conto, giocare per una società professionistica è un altro. Certo, essendo tifoso della squadra in cui giochi, certe partite le affronti in maniera diversa rispetto ad altre ma il lavoro è un conto, la fede è un altro. Per chi tifa Toro, la Juve è la rivale per eccellenza però quando entri in campo dai sempre il 100% anche contro le altre squadre”.
Questa estate l’arrivo al Milan: come hai vissuto il passaggio in rossonero? “Io dovevo andare via comunque. Dovevo andare a fare esperienza fuori e non potevo più rimanere a Torino. C’è stata una trattativa lampo durata due-tre giorni al massimo e si è concluso tutto. Sapere di essere arrivato al Milan è stata una grande emozione e ho preso la palla al balzo ed ho accettato subito”.
Com’è stato il passaggio da Torino a Milano? “Sono due città abbastanza simili. Certo Milano è più grossa e c’è molto più traffico (ride). A parte gli scherzi, ho la fortuna di potermi adattare ad ogni situazione e ambiente nel quale vado. Mio papà è di origini brianzole quindi mi sono ambientato bene dai”.
Se un domani dovesse esserci un Milan-Torino con te protagonista, magari con un gol. Cosa faresti? "Io sono sincero fino in fondo. Il mio lavoro è quello di fare il calciatore e la mia ambizione è quella di farlo ad un determinato livello. Io sono tifoso di una squadra perché ci sono cresciuto, mio padre ha giocato nel Toro e la famiglia di mia madre è tifosa del Toro ma se uno gioca in una squadra che va contro quella della sua fede calcistica, la deve affrontare al massimo se vuole essere chiamato professionista. Ho un sogno professionale però se lo dico non si avvera quindi me lo tengo per me".
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